Quando parlo di “grande fratello” non mi riferisco alla pratica di ricavare informazioni commerciali dal database di utenti e preferenze contenuti in Facebook, ma del fatto di farlo slealmente e/o al di fuori di una piena ed esplicita disclosure.
Una chiarezza dei rischi connessi all’uso del popolare social network, che investa anche quei milioni di casual users che mettono la propria vita su FB senza nemmeno conoscere la differenza fra un motore di ricerca e un motore a scoppio.
Non si può dire che le retrocessioni della privacy imposte da FB alla sua larga base utenti – illustrate chiaramente in questo mediagramma – siano avvenute in modalità che testimoniassero la volontà del proponente di preservare la privacy.
Cos’altro aspettarsi d’altronde, quando lo stesso fondatore di FB, Mark Zuckerberg, ritiene la privacy un concetto superato – e si adopera perché questa sua idea si trasformi sempre più in pratica.
Tant’è, pare che oltre alle preoccupanti intenzioni espresse e alle ancor più preoccupanti retrocessioni imposte alla privacy di ogni utente Facebook, si sommi anche un po’ di “gioco sporco”: secondo il Wall Street Journal (ripreso da ArsTechnica), Facebook starebbe condividendo (assieme ad altri social come MySpace e Digg) con alcuni inserzionisti, dati utili alla completa profilazione dell’utente.
Mentre alcuni si chiedono se sia troppo tardi per fermare con strumenti normativi una community i cui utenti ormai si contano a centinaia di milioni, mi consola molto poco ricordare che già prima del grande boom di FB, ero piuttosto certo (ovviamente non per primo e non da solo) che le cose sarebbero finite “a schifio”.