Alla fine degli anni ’70, IBM è un’azienda con una storia di 60 anni e una presenza nel settore informatico (mainframe e mini) dominante.
Si tratta di un vero pachiderma, con un impatto commerciale immenso, una penetrazione tentacolare sul mercato della grande industria occidentale (grazie anche all’appoggio del governo USA) e una velocità decisionale per l’appunto elefantiaca.
Il business del microcomputer, iniziato con il MITS Altair e proseguito con sistemi come l’Apple II (1977) è tuttavia osservato da Big Blue con crescente sospetto.
Mano a mano che esce dalla sfera dell’Homebrew Computer Club ed inizia a trovare impieghi pratici – lo spreadsheet Visicalc (1979) rappresenta una pietra miliare in questa direzione – il microcomputer ottiene infatti l’interesse della clientela business che IBM tiene tradizionalmente in pugno.
Mano a mano che MOS, Zilog ed Intel evolvono le rispettive linee di microprocessori (8086, capostipite dell’ISA x86, nasce nel 1978), questo nuovo oggetto informatico diventa capace di svolgere funzioni fino a pochi anni prima appannaggio di costosi minicomputer.
Spinto dalla miniaturizzazione dei transistor da un lato, dalla nascita di una intera generazione di software videoludici, applicativi e interpreti dei più popolari linguaggi dall’altro, il mercato dei microcomputer conosce già alla fine degli anni ’70 una grande effervescenza.
Quel che è più importante, i rudimentali progenitori del moderno PC iniziano ad uscire da quella che qui abbiamo spesso definito come “la ristretta cerchia di barbuti sacerdoti dell’OPCODE” e si affacciano, con numeri subito interessanti, sul mercato home ed office.
È a questo punto che IBM percepisce tanto l’insidia che i micro presentano rispetto al lucrativo business dei suoi mini e dei mainframe sviluppati su architetture totalmente proprietarie, tanto l’opportunità commerciale che si profila.
Nasce quindi fra i corridoi di Armonk, l’intenzione di sviluppare un proprio prodotto e diffonderlo per gli uffici di mezzo mondo, tramite la propria possente wehrmacht commerciale.
Come ricorda Bob Cringely nel documentario Triumph of the Nerds, un grosso problema si profila presto all’orizzonte per i manager di Big Blue: la struttura decisionale elefantiaca dell’azienda, le stringenti procedure di valutazione tecnica ed economica di ogni business case, l’approccio proprietario che implica la progettazione e validazione in-house di ogni singolo transistor.
Seguendo i tempi e i modi tipici di IBM (e del mondo mainframe in generale), il time to market del progetto PC sarebbe dunque spropositatamente lungo e produrrebbe un ritardo tecnologico incompatibile coi ritmi frenetici dell’evoluzione del nascente mercato micro.
Arriva dunque la decisione – totalmente aliena alla cultura del colosso di Armonk – di creare un computer assemblando componendi “off the shelf”, a partire dalla CPU: l’Intel 8088 – un 8086 con data bus a 8 bit invece che 16, per limitare complessità e costo di progettazione del sistema. Don Estridge, responsabile sviluppo del progetto PC, mette assieme le specifiche in un anno di tempo circa.
L’architettura è “aperta”, nel senso che sono disponibili a terzi le specifiche hardware necessarie per produrre periferiche compatibili.
Manca tuttavia un OS, e anche qui IBM decide di delegare a terzi. La storia, qui raccontata in dettaglio, porta a prevalere QDOS, alias PC-DOS, alias MS-DOS, che IBM commissiona a Microsoft, Microsoft acquista da Tim Paterson e Tim Paterson “clona” da CP/M – uno degli OS più diffusi nel periodo pre-IBM.
Nasce così, nel 1981, il PC IBM modello 5150, basato su Intel 8088 a 4,77 Mhz, adattatore video CGA, schermo monocromatico o a quattro colori, memoria RAM che parte dai 16 KB dei primissimi modelli e arriva poi a 256 KB, espandibili a 640 (non al massimo teorico di 1 MB per un fondamentale difetto di progettazione hardware di cui abbiamo parlato in questo articolo).
L'”accozzaglia” di prodotti da scaffale che IBM mette insieme, diviene oggetto di un massiccio sforzo commerciale di IBM, il che ne fa presto un successo negli USA e in tutto l’emisfero occidentale del pianeta.
Il BIOS del PC, componente proprietario cui IBM affida la chiusura della piattaforma, dovrebbe per l’appunto contrastare tentativi – altrimenti banalissimi – di clonazione. Non tutto andrà secondo copione e il resto, come si suol dire, è storia recente.
Ricapitoliamo rapidamente le svolte epocali cui IBM ha, inconsapevolmente, dato vita con le scelte tecniche e commerciali fatte per il primo PC:
– il mercato dei cloni e la relativa “dittatura” (qui analizzata a proposito dell’ACT Sirius): la scelta di assemblare componenti standard, fa del BIOS proprietario l’unico baluardo a difesa dell’architettura PC; sarà presto ingegnerizzato inversamente da Phoenix (col metodo cd. “clean room“) e Compaq che, col modello Portable, anticiperà IBM sul mercato con un sistema pienamente compatibile e trasportabile, realizzato con elevati standard qualitativi; una pletora di altri marchi seguirà il colosso texano sulla strada del reverse engineering, dando vita al mercato PC come lo conosciamo oggi; la resistenza legale di IBM, in un panorama del diritto informatico ancora nebuloso, sarà debole e, in ultima analisi, inutile;
– l’uscita di IBM dal mercato PC e la cessione del suo business alla cinese Lenovo: con il boom dei cloni, che si combattono più o meno a parità di feature tecniche, la produzione di computer in mercati occidentali con un elevato costo del lavoro diventa sempre meno conveniente; il baricentro produttivo dell’elettronica mondiale si sposta dunque in estremo oriente, ove attualmente si trova: è l’inizio della fine dell’industria hardware americana e occidentale; IBM dal canto suo tenterà di recuperare lo scettro del mercato PC con le innovazioni proprietarie di PS/2 (di cui abbiamo parlato qui), senza tuttavia ottenere il successo sperato;
– il regno di Intel e di x86: la scelta del microprocessore 8088 e la successiva esplosione del mercato dei cloni, rappresentano la base su cui l’azienda di Santa Clara poggia la sua attuale posizione dominante nel mercato CPU; già negli anni ’90, quando il PC Wintel surclassa un Mac in caduta libera, il ruolo dominante di Intel è solidamente stabilito sul mercato;
– il dominio di Microsoft sul mondo software: malgrado OS/2 (qui un’analisi al riguardo), con cui IBM tenta di conquistare il mercato software PC, l’abilità commerciale e la spregiudicatezza di Microsoft faranno dell’azienda di Redmond un colosso inarrestabile già ai tempi del DOS e, col lancio di Windows 3.0, anche nell’epoca della GUI; per creare un nuovo standard serve qualcosa che riesca davvero a catturare l’immaginazione delle persone diceva Bill Gates nel 1983 a proposito del Macintosh, ma non fu certo grazie all’innovazione tecnologica che il PC divenne lo standard su cui MS costruì le sue fortune;
– la fine delle piattaforme chiuse non x86, schiacciate dalle colossali economie di scala della piattaforma PC, il cui ultimo capitolo si consuma nel 2005/2006, con l’abbandono da parte di Apple della non più aggiornata famiglia di processori PowerPC.
Pare dunque il caso di concludere, a proposito dell’attitudine che spinse trent’anni or sono IBM a correre sul mercato con un prodotto radicalmente opposto alla sua cultura, che anche in ambito informatico, la fretta è una cattivissima consigliera.