Il traffico di tutti i giorni ci rende vittima di un enorme spreco: l’area che ciascuno di noi occupa mettendosi al volante da solo. Nella migliore delle ipotesi parliamo di 4 metri e mezzo per due, ovvero lo spazio necessario a muoversi in colonna e, ancor peggio, lo spazio per lasciare il mezzo posteggiato dove andremo a riprenderlo dopo qualche ora.
Uno spreco che è destinato a scomparire: oggi le strade sono circondate da centinaia, migliaia di autovetture inutilizzate, preda di agenti atmosferici ed esattori delle tasse, sfruttate nella stragrande maggioranza dei casi per non più di un’ora al giorno. Un problema che in Giappone è stato risolto con metodi drastici (nessuno può comprare un’autovettura se non dimostra di avere un luogo dove custodirla) anticipando quanto le vecchie città europee stanno già attuando, imponendo permessi ai residenti e zone di parcheggio a pagamento.
Le soluzioni a questo problema sono chiaramente molteplici e “più o meno drastiche”: tra le più originali proponiamo il Progetto P.U.M.A. (Personal Urban Mobility & Accesibility) di Segway, in partnership con General Motors.
Segway già produce una sorta di “monopattino 2.0”, rendendosi protagonista di accese discussioni sulla collocazione dei suoi mezzi nel traffico quotidiano: dopotutto i modelli standard sono troppo lenti per stare su strada e troppo veloci per muoversi sugli angusti marciapiedi (che lo ricordiamo sono un “budello” circondato da palazzi e autovetture in sosta).
Project P.U.M.A. riprende in parte gli elementi chiave dei Segway, trasferendoli in un ambito più automotive: bastano due ruote in costante equilibrio sovrastate da una scocca protettiva, all’interno della quale sono presenti poco più di due sedili, una “cloche” per la guida e uno slot per smart phone/palmari che diventano quadro strumenti.
Il progetto offre importantissimi spunti di riflessione: lo spazio per le batterie è tale da garantire circa 20 chilometri di “raggio d’azione” (quindi un’autonomia di circa il triplo), le dimensioni sono almeno un terzo rispetto ad una vettura tradizionale, i posti a disposizione sono due (più che sufficienti in città, basta valutare il successo di Smart) mentre la maneggevolezza promette di essere di altissimo livello, grazie alle masse ridotte all’osso.
La tecnologia fa il resto: la velocità è regolata tramite una “cloche” di tipo aeronautico, basta allungare le braccia per aumentarla e portarle verso il busto per frenare. Il mezzo si tiene in costante equilibrio applicando autonomamente delle forze infinitesimali sulle singole ruote, mentre la sterzata, se effettuata da fermo, permette di far ruotare su sé stesso il mezzo, rendendo le operazioni di manovra facili ed intuitive.
Potremmo quasi dire che il Project P.U.M.A. sta alle auto e alle motociclette un po’ come l’Homo Erectus sta alle sue origini da primate, ma prima di lasciarci andare a facili entusiasmi occorre valutare le serissime implicazioni in tema di sicurezza passiva.
I tecnici aggirano questo problema assicurando che il mezzo, grazie alla sua manovrabilità, potrà evitare le collisioni tramite sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale, mentre una cellula ad alta robustezza terrà gli occupanti al riparo nel caso lo scontro sia inevitabile.
In un mondo “popolato da P.U.M.A.” potrebbe non soffrire particolarmente, ma inserito in un ecosistema di vetture, pullmann e SUV di svariati quintali la risultante potrebbe essere decisamente drammatica.
Superati questi dubbi, quello che interessa di più è la possibilità di “commuting assistito”: oggi sui treni regionali è possibile viaggiare con la bicicletta al seguito, domani (ci sono già numerosissimi progetti di questo tipo) potrebbero esserci vagoni e stazioni attrezzate per caricare e scaricare velocemente i passeggeri già a bordo di mezzi come questo.
Va infine ricordato come l’area “pro-capite” occupata da Project P.U.M.A. sia una frazione di quanto richiesto oggi, quindi un’opportunità unica per restituire alle persone una parte di quello spazio (sprecato) che oggi gli viene sottratto.