Chi mi conosce almeno un po’ sa bene che quando si parla dell’Italia, il mio Paese, tendo volutamente a fare l’avvocato del diavolo pur essendo conscio delle sue innumerevoli problematiche. Questa volta, tuttavia, non posso che esprimere la mia profonda contrarietà in merito ad una faccenda che nel corso delle ultime settimane ha offerto su un piatto d’argento all’estero un motivo in più per deriderci: il dibattito e relative misure sulla pericolosità degli occhiali 3D usati per la visualizzazione stereoscopica di film in 3D.
In Italia tutto è cominciato con il caso di una bambina di 3 anni che poche ore dopo la visione in 3D del film Alice in Wonderland di Tim Burton, ha accusato un’infiammazione ad un occhio. Il Codacons, l’associazione dei consumatori, che già in passato aveva inveito contro gli occhiali 3D usati nei cinema sia per l’assenza del marchio CE, che per motivi igienici, ha pensato bene di cogliere l’occasione per incalzare il Consiglio Superiore di Sanità e rincarare la dose.
Il Consiglio Superiore di Sanità decide quindi di sconsigliare l’uso degli occhiali 3D per i bambini di età inferiore ai 6 anni e, più in generale, degli occhiali 3D riutilizzabili. A tal proposito è bene fare chiarezza sulle tipologie di occhiali 3D. Esistono essenzialmente tre aziende che producono occhiali 3D: RealD, Dolby e XpanD. Tra queste, la prima realizza occhiali 3D polarizzati del tipo usa e getta, mentre negli altri due casi gli occhiali 3D sono riutilizzabili in quanto non sono di tipo passivo, ma attivo, cioè hanno al loro interno dei circuiti elettronici.
Subito dopo il parere del Consiglio Superiore di Sanità, è il Ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ad emanare una circolare che, in sostanza, ricalca le raccomandazioni del CSS.
Non contento di quanto ottenuto, il Codacons va nuovamente all’attacco chiedendo il divieto dell’uso degli occhiali 3D fino ai 14 anni, oltre all’obbligatorietà di una pausa durante la riproduzione dei film in 3D.
Se quanto sta accadendo dovesse proseguire il suo iter, tutte le sale cinematografiche che hanno investito migliaia di euro per attrezzarsi per la riproduzione in 3D mediante l’uso di occhiali Dolby o XpanD, diventerebbero automaticamente fuori legge.
Naturalmente qualcuno in proposito potrebbe anche osservare che la salute dei cittadini è più importante degli interessi degli addetti al settore cinematografico e questo è senz’altro vero, ma far diventare fuori legge comprovate tecnologie sviluppate da colossi del settore ed utilizzate da più tempo e più frequentemente che in Italia da tutti i paesi in cui esistono cinema 3D, mi sembra francamente un’esagerazione.
La sproporzione del fenomeno è ancora più evidente se si considera che l’evento scatenante è stato un problema di salute di una bambina la cui origine è tutt’altro che accertata: basta stropicciarsi gli occhi con le mani sporche per lamentare bruciore e rischiare un’infiammazione agli occhi ed infatti non esiste un referto medico che indica quale causa certa scatenante del malore l’uso degli occhiali 3D.
A mio parere è lampante che si sia cavalcato oltremisura un episodio poco significativo per lanciarsi in una vera e propria caccia alle streghe. Esiste sicuramente un problema di igiene legato all’uso di occhiali 3D non monouso, ma al riguardo sarebbe stato sufficiente obbligare gli esercenti a sterilizzare gli occhiali distribuiti definendo sanzioni esemplari per coloro che non rispettano tale direttiva.