Prendere a calci un bambino e poi accusarlo di essere capriccioso se piange. Il periodo precedente contiene due predicati, il primo deplorevole, il secondo stupido.
I portavoce del Partito Delle Libertà dopo l’aggressione a Berlusconi tornano a parlare di incitatori all’odio che fanno male alla vita politica del Paese, oltre che al setto nasale del Presidente del Consiglio. Avete notato l’analogia?
L’indaffaratissima On. Carlucci torna alla carica per gettare odio contro i social network e il web in genere, luoghi di perdizione e anarchia in cui si fomenta violenza e si organizzano nuclei terroristici.
Io apprezzo gli sforzi della Carlucci per ristabilire un sereno dibattito politico in questo Paese e, visto che dai processi alle nuove BR qualche anno fa era venuto fuori che i criminali si coordinavano facendo un intenso uso dei cellulari, proporrei di vietarli. Che dire poi della banda della Uno bianca, bisogna assolutamente imporre per legge un localizzatore GPS in tutte le auto prodotte dal gruppo italiano.
Perdonate il sarcasmo, ne faccio uso solo per mettere in luce le incongruenze delle dichiarazioni ufficiali che arrivano a noi attraverso la stampa. I politici che fanno della menzogna un’arte della dialettica sono quelli che seguo con più interesse, perché le menzogne sono trasparenti e mostrano gli intenti che vi sono dietro.
Mentire ormai è un’arte ormai così affinata che è possibile farlo anche esprimendo opinioni.
Il Ministro Maroni dopo l’aggressione a Berlusconi, visto che è uno dei massimi rappresentati di un partito famoso per la pacatezza e il senso civico dei propri esponenti, torna a chiedere nuove regole per web e manifestazioni, come se la pressione legislativa in questi ambiti non sia già tra le più alte (se non la più alta in assoluto) nelle democrazie occidentali.
Maroni ha dichiarato nei giorni scorsi di non voler anticipare nulla finché la questione non sarà stata ben esaminata, visto che è un provvedimento che coinvolge temi delicatissimi quali la libertà di espressione e di manifestare, ma poi si lascia sfuggire che bisogna ” trovare un equilibrio tra la libertà di manifestazione del proprio pensiero in campagna elettorale e quella di manifestare la propria critica”.
Il che significa in soldoni che l’utilizzo delle piazze non sarà garantito con gli stessi diritti a tutti, ma si sta pensando di introdurre distinzioni tra comizi elettorali e manifestazioni indette dalla libera associazione dei cittadini, ancora in altre parole, qualcuno avrebbe più diritto di qualcun altro di esprimersi pubblicamente.
Dopo le aspre polemiche dovute alle dichiarazioni del Ministro, sia dentro che fuori il Parlamento, sono state rilasciate dichiarazioni per smorzare i toni e dimostrare disponibilità al dialogo sulla questione, ma la tensione rimane altissima.
Riguardo al web si torna a parlare di ipotetiche norme per impedire la nascita e la proliferazione di gruppi che istighino alla violenza e all’odio. Così di primo approccio mi trovo d’accordo, poi ci penso due secondi e mi rendo conto che le leggi adatte allo scopo esistono già, dai tempi dei Savoia credo.
La definizione dei reati per perseguire chi promuove destabilizzazioni politico-istituzionali, atti terroristici, violenza e pubblica scritti diffamatori sono già perfettamente operativi.
Torniamo ora un po’ indietro nel tempo. Se non siete nuovi su Appunti Digitali ricorderete anche che questo non è il primo tentativo di creare strumenti di oppressione della libera espressione online.
Esistono dei precedenti che hanno generato un terremoto di proteste, fino a spingere aziende come Google a schierarsi politicamente contro quel decreto, sfidando frontalmente il Governo e l’opinione pubblica, con toni tutt’altro che smorzati.
In quell’occasione l’invenzione fu quella di far cadere le responsabilità di chi commette reato su di chi è assolutamente estraneo ai fatti. Un utente che pubblica materiale passibile di reato, avrebbe potuto mettere nei guai l’azienda che gestisce il servizio utilizzato per la pubblicazione, il motore di ricerca che indicizza il contenuto, l’aggregatore che lo raccoglie in automatico e tutte le eventuali compagnie di hosting che mantengono questi servizi sui loro server.
Un meccanismo contorto e vago che genera un clima di paura e di autocensura ma che sarebbe stato più difficile da assumere come una minaccia dall’opinione pubblica, poiché in questo modo non si sarebbe dovuto istituire un organo di controllo istituzionale e pubblico da poter additare come organo di censura.
Mentre attendiamo di scoprire cosa inventeranno questa volta, non senza un po’ di timore, ma anche un po’ di curiosità, vorrei spendere altre due parole per allargare l’analisi su cause ed effetti di tutto questo gran parlare.
La causa naturalmente è l’attentato all’incolumità del Presidente del Consiglio da parte di un mitomane, con comprovati problemi psichiatrici. Questo almeno è quanto detto dai rappresentati del Governo, ma come fa a fare statistica questo fatto?
Non sarà mica che a Palazzo sentano il bisogno di una legge che regoli web e manifestazioni dopo una riuscita manifestazione contro il Governo che si è inventata da sola attraverso i social network, la blogosfera e l’editoria online?
Naturalmente la mia è solo un’ipotesi, di cui sono fortemente convinto, ma che per cercare di essere obiettivo sono costretto a considerare tale.
Difendere la libertà di espressione nel nostro Paese non è di destra, né tanto meno di sinistra, visto che le prime leggi a imporre dei limiti al web in Italia, storicamente portano la firma di D’Alema e che attacchi alla libertà di espressione non di minore entità sono arrivati da proposte di legge come la Levi-Prodi.
Tuttavia mi sembra il minimo dubitare del rispetto delle Istituzioni democratiche, da parte di chi vorrebbe controllare il gioco del dibattito politico democratico, mettendo mano alle regole del gioco stesso.
La classe dirigente italiana ha dimostrato di vivere la rete come un problema, perché è un luogo ancora fuori controllo. I poli televisivi sono pochi e gli inserzionisti che possono permettersi di investire su pubblicità televisiva in Italia non sono molti di più.
Il discorso è un po’ più complesso per la carta stampata ma non molto diverso: gli opinion leader appartengono agli stessi gruppi economici che controllano le televisioni e il Corriere della Sera, un tempo considerato un organo di stampa quasi istituzionale, sappiamo tutti (o dovremmo saperlo) che fine ha fatto in anni recenti.
“Purtroppo” la mancanza di confini geografici della rete non ha permesso finora di attuare i “protocolli” standard a suon di leggi per costruire un controllo sui mezzi di comunicazione e rappresenta, per chi vorrebbe controllarla, ancora una questione irrisolta.
Le parole di Carlucci e Maroni in questi giorni sono soltanto le ultime esternazioni di un lavoro costante che, pur non essendo ancora sfociato in norme repressive, ha già dato i suoi frutti, grazie ad una costante pressione mediatica che ha gettato fango sulla grande rete.
Sarà capitato a tutti, e non di rado, di imbattersi in persone che parlano di internet, come un luogo oscuro e pericoloso, covo di pedofili, criminalità o persone violente. Considerazioni che sono tanto più frequenti, tanto più è grande l’ignoranza riguardo ai mezzi telematici e alle possibilità che questi offrono.
L’analfabetismo informatico nel nostro Paese è ancora grande e il problema è ancora più grande se grazie alla propaganda contro la rete, si trasforma in diffidenza e paura.
C’è un mondo intero di possibilità per accedere a conoscenza, condivisione e opportunità economiche che in Italia è frenato dalla classe politica.
Fuori dai nostri confini, azioni come quella di controllare su Facebook o Twitter il menù del giorno del proprio ristorante preferito, utilizzando il proprio smartphone magari, cominciano ad essere abitudini consolidate, mentre da noi la rete rimane per gli occhi di tanti un covo di frustrazioni e violenza.
Chiedetevi di chi è la colpa. Vogliamo ancora vivere in un Paese che concede i funerali di Stato ad un conduttore televisivo o vogliamo che le cose cambino?