Neo Geo, due parole che certamente risvegliano i sensi degli appassionati di retrogaming ed i frequentatori di sale giochi durante gli anni ’90.
Avevamo già dedicato una pagina alla storia di questa console, elencando solo alcuni dei molti titoli di spessore; mai però, fino ad oggi, ci eravamo soffermati nel trattare un videogioco in particolare.
Come da tradizione, andiamo controcorrente perché punteremo gli occhi su Street Hoop, capostipite in un certo senso degli sport da strada.
Nonostante la soft-teca della console SNK sia stata molto meno imponente, dal punto di vista numerico, di altre piattaforme, la scelta di privilegiare un gioco rispetto a tutti gli altri è stata piuttosto complessa.
Poiché la derivazione dell’hardware e del software è di matrice arcade, il Neo Geo propone una concentrazione di capolavori non paragonabile a tutti i suoi concorrenti né dell’epoca né forse contemporanei.
Quanti di noi hanno posato gli occhi sgranati sui coin-op della casa giapponese? Art of Fighting, Metal Slug, Garou, Samurai Shodown, King of Fighters, Alpha Mission, Last Blade.
E la lista potrebbe continuare a lungo.
Desideri spesso impossibili da esaudire a causa degli elevati costi sia della macchina che delle “cartuccione” da 330Mb.
Portarsi a casa la regina della quarta generazione era privilegio di pochi (e lo è ancora se consideriamo i prezzi di alcuni autentici pezzi di storia), aumentando l’aura di esclusività che circondava il Neo Geo.
Perché dunque partire proprio con Street Hoop?
Come appassionato di pallacanestro, sono sempre rimasto affascinato dalle evoluzioni dei giocatori americani. E le evoluzioni compiute con la palla a spicchi sono frutto non solo del talento di ciascuno ma di quella che è forse la vera essenza del basket, dove tutto ha inizio: il playground.
Con gli anni si è aperto un intero filone dedicato agli sport di strada in generale; combattimento a parte vale la pena citare, ad esempio, l’interessante esperimento della Electronic Arts con Fifa Street.
All’inizio degli anni ’90 i giochi di pallacanestro crescono in numero esponenziale: David Robinson’s Supreme Court, Charles Barkley’s Shut and Jam, Jordan VS Bird. Shaquille O’Neal finisce addirittura per diventare il protagonista di un beat’em up (il curioso Shaq-Fu che forse alcuni ricorderanno).
Il vero catalizzatore di questa rivoluzione made in USA è però NBA Jam. La Midway Games (sì la stessa di Mortal Kombat), developer ed allo stesso tempo publisher, era riuscita nell’impresa di condensare in un solo gioco tutti gli aspetti più divertenti di un incontro di basket, puntando chiaramente verso la rotta “arcade”. Le schiacciate alte 6 metri da terra credo le ricordiamo tutti.
Ma nel frattempo in quel del Sol Levante non si perde tempo. Il Giappone e più in generale l’Oriente rappresenta forse il più grosso seguito a disposizione della NBA, l’arcinota lega di professionisti americani.
E quindi non poteva mancare una sorta di risposta, che è arrivata seppur un po’ in sordina, con Dunk Dream.
Dunk Dream è in effetti il titolo originale del software sviluppato da Data East in collaborazione con SNK. Una volta però sbarcato anche nei mercati occidentali è cambiato in favore del più azzeccato forse Street Hoop.
Dieci squadre eleggibili dall’utente: ovviamente USA, con Italia, Francia, Spagna, Taiwan, Giappone, Cina, Gran Bretagna, Corea del Sud e Germania.
Ciascuna di esse aveva quattro caratteristiche nelle quali più o meno eccelleva: schiacciata, tiro da 3, velocità e difesa.
Il bilanciamento risultava buono ed era possibile divertirsi anche con team nella realtà meno quotati come quelli orientali.
Organizzato come un 3 contro 3 da strada, l’utente poteva sbizzarrirsi sia nella metacampo difensiva che offensiva: stoppate, palle rubate, tiri da 2 e da 3 e persino alley hoop (la palla sollevata e schiacciata al volo dal compagno che tanto fa divertire gli appassionati di basket).
La grafica spartana ma sgargiante e nitida fa il suo dovere, colonna sonora “da strada” con i “boo” e gli applausi del pubblico intorno al campo e la musica in stile hip-hop rendono bene il clima vissuto dall’utente.
Ma è senz’altro la giocabilità il punto forte. Le azioni, l’atteggiamento difensivo, le dunk “in your face” sono una goduria per gli occhi.
Seguito un anno più tardi dal secondo capitolo (Dunk Dream ’95 in Giappone e Hoops ’96 in Europa) non può essere annoverato come un capolavoro, ma ha rappresentato un esperimento senz’altro di valore ed un piccolo gioiello di culto per gli anni a venire.