Dopo una breve seppur intensa parentesi (e tutt’altro che conclusa) sul FamiCom/NES, torniamo ad occuparci di uno degli aspetti probabilmente più affascinanti del mondo dei videogiochi ovvero i prototipi.
Al pari di altri settori il prototipo rappresenta il passo precedente alla realizzazione definitiva di un prodotto ed allo stesso tempo può considerarsi un po’ come il “primo della sua specie”, seppur in uno stato embrionale sia come concept design sia dal punto di vista dell’hardware.
Ciò che rende così interessante la trattazione di questi progetti è la possibilità di studiare nel profondo le strategie di mercato dei vari produttori e cercare di capire qual’era la visione futura di questo complesso business.
Non dobbiamo poi dimenticare l’aspetto collezionistico estremamente rilevante che caratterizza, come sempre, quei progetti realizzati in un limitatissimo numero di unità non disponibili al pubblico.
Per usare una metafora sportiva, Atari può essere a ben donde definita come la fucina del maggior numero di talenti inespressi del settore.
Solo sotto la sua egida si possono contare quasi una decina di prodotti mai rilasciati, ciascuno con una propria storia ed una prematura fine.
Il periodo di maggior fermento è però senza dubbio il decennio compreso tra il videogame crash del 1983 ed i primissimi anni ’90.
Abbiamo già incontrato nel nostro lungo e tortuoso cammino questo funesto evento (sono un poeta eh? :D).
Promettendo una trattazione ad hoc in uno dei prossimi articoli, possiamo dire che si trattò sostanzialmente di un collasso dell’industria video ludica generata dall’insoddisfazione di una clientela diventata più esigente di quel che pensavano i dirigenti delle società impegnate all’epoca; ed Atari fra queste, poiché rappresentava il faro da seguire, fu allo stesso tempo la più colpita.
Nonostante però il calo drastico di vendite ed il conseguente ridimensionamento, il reparto di R&D (alias Ricerca&Sviluppo per i non amanti degli acronimi) non smise mai di lavorare per un futuro migliore.
Futuro era la parola chiave, parola che non dovrebbe suonarvi nuova poiché l’esatta traduzione di Mirai, un altro progetto estremamente interessante di cui Appunti Digitali si è occupato qualche mese fa.
Nonostante le fonti non siano sempre concordi, sappiamo che la società americana guidata a quei tempi da quel guru di Jack Tramiel, stava progettando una piattaforma di nuova generazione.
Mirai si attesta grossomodo alla metà degli anni ’80 (1985 per la precisione), mentre il Panther, la console di cui parleremo quest’oggi, all’incirca nel 1988.
La macchina era il frutto della collaborazione di Atari e Flair Technology, l’ex team di ricercatori Sinclair che aveva dato alla luce prima Flare One (un sistema disegnato per l’home computing, poi utilizzato anche in alcuni cabinati) e successivamente il Konix Multisystem.
Le caratteristiche tecniche nel dettaglio di cui si ha notizie sono le seguenti:
- CPU: Motorola 68000 16/32 bit con clock 16Mhz
- Video: “Panther”, l’object processor a cui si deve il nome della console, in grado di visualizzare contemporaneamente fino ad un massimo di 8192 colori (su una palette a 18 bit) e 65536 sprite
- Audio: coprocessore dedicato Ensoniq chiamato “Otis” in grado di gestire fino a 32 canali
Il sistema sarebbe dovuto diventare il riferimento a “32 bit” del mercato o perlomeno di Atari, nettamente in anticipo rispetto ai competitor.
Lasciando stare la dicitura a numero di bit, spesso fuorviante e legata ad operazioni di marketing (e per gli approfondimenti vi rimando all’illuminante articolo di Cesare Di Mauro), quel che è certo è che il progetto divenne “unreleased” per far spazio al successivo Jaguar, nome anch’esso derivato dall’object processor di cui era dotata la console.
La dirigenza americana realizzò che uno spazio di soli due anni tra il rilascio dei due progetti era un lasso di tempo troppo breve per ammortizzare i costi dei due prototipi e quindi decise di virare ed abbandonare la generazione precedente dedicandosi esclusivamente a quella che sarebbe dovuta scendere in campo nel 1993.
Secondo Curt Vendel dell’Atari Historical Society’s Virtual Atari Museum il motivo del doppio flop (Panther e Jaguar) fu l’eccessiva fretta con cui la proprietà Atari condusse le operazioni.
Flare II, il progetto sviluppato da Martin Brennan e John Matieson , fondatori di Flare Technology, (ed in particolare Matieson era il ponte tra i due team perché amico di Richard Miller, direttore del settore di R&D Atari dal 1989) poi acquistato da Atari era troppo avanzato per l’epoca e necessitava di un maggior tempo per l’integrazione in un vero e proprio progetto commerciale.
Al di là dei fatti storici e dei numeri riguardanti il Jaguar, che parlano da soli, lo stesso Jeff Minter, sviluppatore indipendente dei primissimi anni ’80 poi anch’egli assunto da Atari, ricorda come l’object processor Jaguar, nonostante fosse evoluto rispetto al suo predecessore Panther, fosse molto simile dal punto di vista concettuale e soffrisse in realtà delle medesime limitazioni.
La sua progettazione infatti era stato concentrato soprattutto sulla visualizzazione del maggior numero di sprite possibili per linea, creando per un disequilibrio tra le tempistiche necessarie per disegnare quella linea e quindi la sua visualizzazione (poiché le risorse della CPU non lo permettevano all’epoca) e quindi una perdita di definizione fino al manifestarsi di veri e propri artefatti, difetto arcinoto proprio del Jaguar.
Dal rilascio previsto nel 1991 le tracce si disperdono fino alla liquidazione di svariati prodotti appartenenti alla Atari Benelux e venduti ad Hobbytronic (una società impegnata nel settore dell’elettronica con sede a Dortmund), tra cui il prototipo PDS0009, altrimenti noto come “Panther”.
Cosa sarebbe successo se la console fosse divenuta realtà?
Ovviamente non lo sapremo mai, però possiamo sempre ipotizzare i classici scenari da Sliding Doors. In fondo il “what if” resta una prerogativa del nostro pensiero.
Alla prossima!