Il web sociale nasce con il cosiddetto web2.0. Secondo alcuni il web2.0 non ha niente di innovativo, è sempre lo stesso web. Prima c’erano i newsgroup, oggi c’è Friendfeed o altri sistemi di microblogging.
Questo è in parte vero, ma esiste una sostanziale differenza tra il web 1.0 ed il web sociale; il primo non hai mai avuto alcuna possibilità di uscire dai laboratori informatici e dai garage degli smanettoni.
Solo con il web2.0 Internet entra nella società, e ne diventa parte integrante, come ad esempio con Facebook prima e Twitter poi. Il social network fondato da Mark Zuckerberg conta ormai centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo. Se fosse una nazione sarebbe una delle 10 più grandi.
Twitter sta seguendo un processo di diffusione analogo ed in continua crescita. In stadio più avanzato negli Stati Uniti ed altre nazioni nord europee, inizia ad incuriosire i media mainstream (stampa e tv) anche in Italia.
Non a caso, sia Twitter che Facebook sono stati protagonisti a Matrix, in una puntata che potremmo definire tragicomica.
I social network si diffondono nel tessuto della società reale, fuori dal web, diventando parte integrante della vita reale. Completato questo processo, per cui non vi sarà più una netta separazione tra socialità offline ed online – i nativi digitali certamente non opereranno tale distinzione – probabilmente non avrà più senso parlare di web sociale, e saremo pronti per “the next big thing”.
Intanto chi sembra riuscire a digerire con maggiore difficoltà questo cambiamento è proprio il sistema dei media tradizionali, irretiti e arroccati su posizioni protezionistiche, come dimostra la puntata di domenica dello speciale TG1. Vecchio per formato e contenuti, può essere riassunto dalla perla di Feltri, direttore de Il Giornale:
“Non è assolutamente vero che i cittadini abbiano qualcosa da guadagnare scrivendo sui blog.”
Se questi sono gli illuminati che ci dovrebbero guidare verso il futuro, il futuro non sarà roseo.