Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, chiede scusa agli utenti in un suo post , dopo settimane di polemiche da parte dei frequentatori del social network. Sotto accusa è l’ormai noto Beacon, sistema di advertising mirato presente nel social network, che ora può essere disattivato . Molte compagnie, come Google, Microsoft, Yahoo (per citarne alcune) raccolgono dati personali e tengono traccia delle nostre azioni sul web con lo scopo di inviarci materiale pubblicitario su misura. Facebook si è spinto un po’ oltre: in collaborazione con alcune compagnie (e quindi siti) partner raccoglie infomrazioni su pagine visitate o su prodotti acquistati dagli utenti di Facebook, queste informazioni non solo vengono utilizzate per pubblicità mirata all’utente stesso, ma anche per far conoscere le nostre azioni ai nostri amici, che (secondo la logica degli ideatori del sistema) possono essere coinvolti nei nostri interessi o essere interessati ad acquistare i prodotti che piacciono a noi.
Ovviamente c’è scappato il finimondo tra gli utilizzatori, e non capisco come i vertici di Facebook potessero aver sperato il contrario, costringendo ad una lenta ma inesorabile serie di ripensamenti.
Dal principio il servizio era completamente “trasparente” per l’utente. Ovvero Beacon lavorava secondo le sue regole, senza nessuna possibilità di intervento da parte dell’utente. Circa una settimana fa la prima marcia indietro. Nell’area di amministrazione degli utenti è comparsa una pagina che elenca i siti web partner di Beacon frequentati dall’utente, permettendo di inibire per ogni singolo sito web l’utilizzo del servizio, così ad esempio io avrei potuto scegliere di non far sapere ai miei amici cosa leggo sul New York Times. Il problema è che i siti partner del sistema, per apparire nell’elenco, devono aver violato la privacy dell’utente almeno una volta.
Questo non è bastato al popolo di Facebook che ha continuato la protesta, portando ad una nuova mossa da parte della compagnia: la possibilità di interrompere in qualsiasi momento e definitivamente il servizio, con scuse a seguire.
Nel chiedere scusa, Mark Zuckerberg ammette palesemente di aver sbagliato su tutta la linea affermando che con Beacon è stato “semplicemente fatto un pessimo lavoro”, e il fulcro del problema è che non si è trovato da subito il “giusto equilibro” tra le informazioni diffuse e il desiderio di privacy degli utenti.
Personalmente, anche da utilizzatore del servizio, non sono molto soddisfatto da queste lettera aperta, poiché l’impressione avuta è stata quella di un vero e proprio esperimento per testare quanto gli utenti siano attaccati alla propria privacy e misurare il limite di sopportazione. I test vanno fatti in beta-testing, non sulla pelle dei propri utenti. I passi indietro fatti, lentamente e uno alla volta, dimostrano la ricerca del suddetto limite, fortunatamente gli utilizzatori del servizio hanno saputo rispondere “a muso duro”.
Ora Facebook deve dimostrare di aver imparato la lezione e che ci tiene a non incrinare il rapporto tra la compagnia e gli utilizzatori. Il successo di un’azienda, specialmente sul web, ritengo che spesso sia aiutato, e non poco, dallo stile con cui opera. Lavorare sul web e con il web significa fare i conti con i blogger e con un opinione pubblica forte e informata, che spesso aiuta le sorti di una compagnia o ne spinge la discesa. E chi meglio del creatore di un social network può capirlo? Speriamo che lo scotto sia servito.