Sicuramente uno degli accordi più importanti portati avanti dall’umanità è il Trattato di Non proliferazione delle Armi Nucleare (NPT). Come tutti gli accordi che vanno rispettati, vi è la necessità di un controllo. Questo controllo è gestito dell’agenzia delle Nazioni Unite IAEA (Internation Atomic Energy Agency).
Il loro compito è quello di verificare installazioni civili di tipo nucleare e le strutture annesse e connesse spaziando in più di 140 paesi in giro per il mondo. Inoltre devono controllare che i materiali fissili di diverse origini (tra cui di origine militare) che gli Stati Uniti e la Russia hanno rilasciato siano ora utilizzati per scompi civili.
Per fare questo utilizzano molti metodi diversi, generalmente facendo grande uso di risorse umane. Vi è però un metodo alternativo, che potrebbe permettere un monitoraggio continuo ed in tempo reale di tutte le strutture nucleari esistenti. Si possono infatti costruire dei rivelatori di neutrini (anzi, per essere precisi di antineutrini) nelle vicinanze di tutte le centrali.
L’osservazione di queste particelle, che avevo già in parte descritto in questo post , può dare dettagliate informazioni sul regime energetico della centrale, sulla temperatura e slle proporzioni di carburante nel nucleo della centrale, in modo continuo e senza interferire con la funzionalità della centrale stessa.
Cerchiamo di capire il principio fisico che ci permette di utilizzare in questo modo i neutrini.
Prima di tutto devo fare una brevissima introduzione su queste particelle elementari. L’Universo che ci circonda, e le sue parti, esistono ed interagiscono tra di loro tramite quattro forze fondamentali. La forza Gravitazionale, responsabile dell’attrazione di due o più masse tra di loro, la forza Elettromagnetica, che lega particelle con carica elettrica e magnetica, la forza Forte, responsabile del fatto che neutroni e protoni convivono in uno spazio piccolissimo all’interno del nucleo atomico, e la forza Debole.
Quest’ultima è difficile da descrivere perché apparentemente non si manifesta nello stesso modo delle altre, non coinvolgendo necessariamente più corpi. È però estremamente importante e presente nel nostro mondo, essendo la forza che gestisce i decadimenti radioattivi. In sostanza è la forza che permette ad un nucleo di ritornare al suo stato energetico preferito, acquisendo o restituendo energia al mondo esterno, attraverso appunto i decadimenti. La firma incontroversibile della presenza della forza Debole è il neutrino.
L’interazione più semplice, che permette di studiare la forza Debole è il decadimento Beta . Esso avviene perché il neutrone, la particella neutra all’interno dei nuclei atomici, è più pesante del protone, la particella a carica positiva presente nel nucleo. Talvolta quindi accade che il neutrone perda parte della sua energia e decada in un protone, in pratica si trasforma in un protone. Se ciò accade, però, la sua massa (ovvero energia) in eccesso deve manifestarsi in qualche altro modo.
Per questo insieme al protone viene creato anche un elettrone (necessario per conservare la carica elettrica) e un neutrino (che si porta via l’energia in eccesso). Questo fenomeno avviene in continuazione nelle centrali nucleari. In un reattore standard, quelli i qualche anno fa, il carburante iniziale consiste in barre di uranio, tipicamente composte di Uranio arricchito (uranio 238) con una percentuale di circa il 3,5% di uranio 235.
Quando il reattore entra in funzione si ha il fenomeno di cattura neutronica , per cui l’uranio cattura appunto neutroni e produce plutonio (plutonio 239 o 241). Questo fenomeno contribuisce anche alla produzione energetica della centrale, in quanto il plutonio è a sua volta un materiale fissile che quindi viene “bruciato” nella centrale, ma in qualche modo avanza sempre, e ogni reattore ha un avanzo di circa 200kg di plutonio all’anno.
Tutti questi nuclei pesanti all’interno del core della centrale sono molto instabili e ciascuno di loro ha mediamente 6 decadimenti beta. Ogni decadimento beta corrisponde a un neutrino (anzi, in questo caso un’antineutrino, ma sono dettagli),per cui avremo 6 neutrini per ogni nucleo presente. La difficoltà sta nel fatto che questa incredibile quantità di nuclei è molto instabile e in stato eccitato, per cui è molto difficile descrivere con precisione la fisica che avviene. Inoltre i neutrini di energia più elevata, e quindi più facili da rivelare, sono prodotti dai primissimi decadimenti, ovvero quelli prodotti da nuclei con vita media molto inferiore a un secondo.
Si può però calcolare facilmente che se un reattore fosse composto esclusivamente da uranio 235 produrrebbe un segnale di antinuetrini il 60% maggiore rispetto a quello di un reattore (che produca la medesima energia) composto solo di plutonio 239. Questa differenza è come si può capire sostanziale, e permette quindi di monitorare le quantità relative di uranio e plutonio nel nucleo del reattore.
Siccome il segnale di antineutrini prodotti da un reattore diminuisce come il quadrato della distanza dal reattore stesso, per poter fare un controllo preciso è necessario piazzare il rivelatore a qualche decina di metri dal reattore, soprattutto se si tratta di rivelatori di piccola taglia, dell’ordine di pochi metri cubi di volume. Allontanandosi sarà necessario costruire rivelatori sempre più grandi (per guardare i neutrini prodotti dalle reazioni nucleari che avvengono in stelle lontane bisogna salire a dimensioni di uno o più kilometri cubi) .
L’idea di utilizzare i neutrini per monitorare le centrali non è nuova, già nella fine degli anni 70 Mikaelian e il suo gruppo cominciavano a intravederne le possibilità. La tecnologia necessaria per rivelare i neutrini, però, ha avuto un’impennata solo negli ultimi due decenni, e con essa la nostra conoscenza di questa particella, così interessante come difficile da studiare.
Esperimenti come il giapponese KamLAND sono stati decisivi per poter finalmente arrivare ad un’applicazione pratica dello studio dei neutrini. Questo esperimento, infatti, studia antineutrini provenienti da numerose centrali nucleari giapponesi, più due coreane, per comprenderne le proprietà. Lo scopo di questo esperimento è puramente scientifico, ma con anni di esperienza ha dimostrato come un’applicazione pratica sia ormai a portata di mano. Non è l’unico esempio di questo tipo.
In Francia è da anni attivo (e ormai in fase di espansione) l’esperimento Double Chooz . Anche in questo caso l’obiettivo principale della collaborazione è di studiare e capire le proprietà fondamentali del neutrino, ma essendo così vicino ad una centrale nucleare permette di esplorare anche altri campi. Infatti non gli manca di certo la statistica, con più di 5×10⁵ antineutrini all’anno. Tramite una stretta collaborazione con l’EDF, la società energetica francese, possono venir effettuati studi di correlazione tra il flusso di neutrini e la potenza termica della centrale, così come le quantità relative di uranio e plutonio.
Il successo di questi ed altri esperimenti pionieri può portare allo sviluppo di un’intero campo applicativo per i neutrini. Infatti è già da qualche anno che si parla di un network mondiale di grandi rivelatori di neutrini, che potrebbero fornire informazioni importanti per scoprire, per esempio, test nucleari non autorizzati o utilizzi bellici della fissione. Inoltre tale network può dare un contributo vitale per il monitoraggio delle centrali su scala internazionale, senza dover quindi preoccuparsi di che cosa stanno combinando con le loro centrali i nostri vicini.
Per la maggior parte dei fisici, vedere che lo studio dei neutrini può portare a dei risvolti pratici di così immediata importanza è una (buona) sorpresa che nessuno si aspettava. I neutrini hanno sempre rappresentato un grosso punto di domanda nella fisica dell’ultimo secolo, e sono in un certo senso l’anello di connessione tra la fisica standard e la nuova fisica, che stiamo appena cercando di capire e individuare. Eppure, nonostante la loro evanescenza, si stanno dimostrando uno strumento importantissimo, che non va assolutamente sottovalutato.