“Nell’estate del 1951 a Lizard Breath, una cittadina sperduta nel deserto americano, la vita non era esattamente emozionante. I ritmi sonnolenti della quotidianità, il fatto che tutti gli abitanti si conoscessero fra loro e che ogni nuovo arrivato, piuttosto che per nome, venisse chiamato “straniero”, erano i pilastri su cui poggiava la cappa di gas soporifero che avvolgeva, meglio dell’arsura di giugno, la città.
Un evento insolito si apprestava tuttavia a sconvolgere l’ordinaria normalità cittadina: la caduta di un meteorite nelle vicinanze e, soprattutto, l’arrivo di alcuni feroci quanto inattesi ospiti.”
Più o meno è questo ciò che avrei scritto per introdurre la trama di un b-movie ambientato negli anni ’50 e centrato sul tema dell’invasione aliena, ed è in effetti quello che molti giornali, nel 1989, hanno scritto per introdurre It came from the desert che però non è un film ma un gioco, probabilmente il più “simile” a un film che si fosse visto allora sugli schermi di un Amiga.
Con la fida tazza di caffè fumante a fianco della tastiera, accompagnata per l’occasione da un lanciafiamme – risolutivo in caso di inattese invasioni di insetti alieni sul balcone – immergiamoci dunque in questo nuovo venerdì dedicato alla summer of love informatica e scopriamo, dopo aver parlato del magnifico Defender of the crown, questo straordinario titolo della gloriosa Cinemaware.
I più preparati ricorderanno che il riferimento al filone dei b-movie non è affatto casuale: It came from the desert riprende esplicitamente lo stile e il titolo del genere, con evidenti citazioni da Them! del 1954 e da un film del 1953 tratto da una novella di Ray Bradbury, It came from outer space, autentici classici del genere horror/sci-fi.
In perfetto stile Cinemaware, dopo la magnifica presentazione, il gioco si svolge seguendo una struttura multifase che combina strategia e azione, accostando una prospettiva in prima persona ad una visuale dall’alto, più la mappa tramite la quale è possibile decidere gli spostamenti.
Protagonista del gioco è il geologo Greg Bradley, accorso in tutta fretta sul luogo del misfatto per indagare sulla natura del meteorite: proprio a lui toccherà di incontrare per primo le temibili formiche giganti che infestano il territorio dopo la caduta del meteorite, ricostruire il nesso con l’impatto e, soprattutto, convincere la popolazione locale – la cui mentalità, come in ogni paesotto che si rispetti, viene dipinta come piuttosto chiusa – della gravità del pericolo.
Più che nello stroncare i malefici formiconi, la vera difficoltà del gioco risiede nel fattore tempo: il nostro prode geologo ha solo 15 giorni per convincere le autorità locali a chiamare la guardia nazionale per debellare il covo e sconfiggere definitivamente la formica regina, prima che un devastante attacco rada al suolo Lizard Breath, i suoi ridenti pub e drive in, le sue fattorie e tutti i suoi testardi abitanti.
Per portare a termine l’impresa è richiesta una fitta interazione con il pubblico locale e, benché esistano dei passi fondamentali da compiere, una serie di dettagli “superflui” aggiungono profondità alla trama e all’esperienza di gioco, sempre accompagnata da una colonna sonora che vena di angoscia il ridente paesaggio e la visione dei faccioni ingenui dei lizardbreathiani.
Ad aumentare la longevità di questa pietra miliare del gaming, arriva nel 1990, Antheads, di fatto un data disk per ICFTD, che riprende da 5 anni dopo la fine del primo capitolo. Entrambi i giochi nascono per Amiga (obbligatoria l’espansione a 1MB) e solo il primo capitolo viene portato, con cambiamenti notevoli e non proprio in meglio, su MS-DOS e sulla console Turbografx CD.
Più profondo, dettagliato e coinvolgente del già ottimo titolo di debutto della Cinemaware, il citato Defender of the crown, It came from the desert ha coi suoi predecessori in comune l’effetto mascella a terra™ frutto della combinazione fra cura grafica, sonora e gameplay. Un lusso che, vent’anni fa, era appannaggio dei soli possessori di Amiga.