“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. E’ con questa celeberrima frase (dal significato piuttosto eloquente) del mitico Giovanni Trapattoni che voglio iniziare quest’articolo, perché rende molto bene la situazione di cui parlerò.
Avevo intenzione di farlo a novembre, quando la PlayStation 3 di Sony compirà i suoi 3 anni di “vita”, ma il rilascio del nuovo gioco Ghostbusters mi ha fatto riflettere molto, e ho pensato quindi di anticipare i tempi.
Cosa ci sarà di così straordinario nell’uscita di un gioco, direte voi: ne escono tanti e, a parte alcune killer application, le attese non sono poi così spasmodiche da mettere in fibrillazione la gente o un redattore.
Infatti di per sé non v’è nulla di particolare, se non nella constatazione che ci troviamo di fronte a un inaspettato e clamoroso… epic fail!
Procediamo con ordine. Tutto ha origine lo scorso anno, quando il presidente della Terminal Reality (la società che sviluppa il gioco), Mark Randel, durante un’intervista si lascia andare a dichiarazioni piuttosto pesanti (e aggiungerei anche “allegre”).
Sinteticamente, afferma che:
- (il gioco) sarebbe stato simile per entrambe le versioni (oltre alla PS3 c’è quella per XBox 360);
- fremono per mostrare la meravigliosa tecnologia che hanno sviluppato per la PS3 (che amano, e per la quale si sono prodigati);
- se fosse stato esclusivo per la PS3 avrebbe potuto muovere il doppio degli oggetti;
- la PS3 ha 7 processori mentre la 360 soltanto 3, quindi (già solo per questo) la prima può fare molto di più rispetto alla seconda (sic!).
Il tempo è galantuomo, come si suol dire, e l’uscita del gioco ha dipinto una realtà ben diversa. Anzi, diametralmente opposta oserei dire.
Texture e shadow map di scarsa qualità, poche normal map, assenza di HDR, filtro AA Quincux (anziché MSAA), e infine la presenza di un pesante filtro di blur per smussare le immagini (similmente a GTA 4, sempre per la versione PS3) mascherando la risoluzione più bassa (960×540 contro i 1280×720 della 360; che tradotto significa poco più della metà dei pixel presenti su schermo).
Ora, è chiaro che il presidente di una società può non avere adeguate conoscenze tecniche, e magari parlava da uomo di marketing per vendere il proprio prodotto (d’altra parte i diritti di Ghostbusters sono in mano a Sony), ma mi sembra difficile credere che sia stato lasciato andare allo sbando dai suoi collaboratori tecnici, che non l’hanno informato correttamente dello stato del gioco, fornendogli un minimo di dati concreti.
Di fronte a questo catastrofico scenario la battuta del buon Trap ci sta tutta e serve, oltre che a consigliare un po’ di sana umiltà nonché una buona dose di silenzio in certi casi, anche a portarci coi piedi saldamente per terra.
Ciò non dimostra assolutamente (e non è nemmeno questo lo scopo) che la Playstation 3 sia inferiore alla XBox 360. Come amo ripetere spesso, “una rondine non fa primavera”; logica alla mano, un singolo caso non può certo essere esteso alla totalità.
Lo metto subito in chiaro per evitare sul nascere polemiche e flame di cui il web è già stracolmo, coi soliti fanboy (sonari, boxari, nintendari, PCisti: non fa nessuna differenza; gli integralisti sono della stessa pasta) che continuano imperterriti a scannarsi metro alla mano su “misure” che lasciano il tempo che trovano.
Ma al di là di Ghostbusters (che va preso più che altro per farsi quattro risate e meditare sull’effetto boomerang del karma, che farà piacere a qualche buddista), c’è da dire che finora questa console tecnicamente ha mostrato una certa carenza di titoli pregevoli.
Assassin Creed, Heavenly Sword, Ghost Recon Advanced Warfighter 2, Uncharted, Metal Gear Solid 4 (no, KillZone 2 non lo metto nell’elenco, perché sto parlando di tecnica e non lo ritengo all’altezza; opinione mia personale, sia chiaro) stanno a testimoniare che la qualità c’è, ma non la quantità.
Possono, quindi, stare tranquilli gli estimatori della console di Sony: se l’hardware non fosse all’altezza, non ci sarebbe né l’una né l’altra. D’altra parte, come per ogni cosa, ogni soluzione porta con sé pregi e difetti. Lo stesso vale per le due console (che sostanzialmente si equivalgono, com’è sempre stato ripetuto da esperti in materia; programmatori dell’industry in primis).
Dove possono essere ricercate le cause, allora? Il titolo dell’articolo è piuttosto chiaro: la complessità dell’hardware, che richiede tempi più lunghi per essere padroneggiato e, quindi, un maggior dispendio di risorse (il tempo è denaro in un’azienda votata al lucro, e le scadenze il nemico numero uno), che a volte possono portare a tagli di feature e/o sperimentazione.
Anche questa è una mia opinione (tra l’altro già espressa qualche anno prima che entrambe le console fossero commercializzate), che può essere condivisibile o meno, ma che trova riscontro anche in sviluppatori noti. Ultimi in ordine di tempo sono quelli di Valve, che non credo abbia bisogno di presentazioni.
Potrebbe sembrare un complotto mondiale ai danni di Sony, ma a metterci lo zampino è la stessa casa madre, col presidente di SCE , Kazuo Hirai , che afferma candidamente di non rilasciare hardware facile da programmare per “allungare” il supporto alla console nell’intero suo arco di vita (per l’azienda giapponese è di 10 anni circa).
Un concetto molto “giapponese”: se non soffri non godi (per chi ricorda Mai dire Banzai).
In effetti questo dimostrerebbe perché anche l’hardware delle precedenti console casalinghe soffrissero dei medesimi problemi (in particolare la PlayStation 2), ma in tutta franchezza e da sviluppatore mi sento preso in giro da una dichiarazione del genere, e mediterei quanto meno di dotarmi di una bambolina voodoo con appiccicata sopra la foto di Hirai per esercitarmi nella nobile arte della tortura.
Un ragionamento del genere per me è del tutto inconcepibile ma, soprattutto, inaccettabile, proprio per l’equazione di cui sopra: il tempo è denaro, e sapere di doverlo sprecare a causa di apposite nonché scellerate scelte, mi fa quanto meno saltare i nervi.
Questo non significa che si pretenda la pappa pronta, ma realizzare un videogioco è già di per sé un lavoro molto difficile (parliamo di progetti costituiti da milioni di righe di codice), e di certo non servono né tanto meno fa piacere avere messi bastoni fra le ruote. Hardware abbordabile da programmare e SDK decente sono, insomma, il “minimo sindacale”.
Prendiamo, quindi, quella di Hirai come una dichiarazione (da un uomo del marketing) che è stata dettata dalla disperazione (considerato che il proprio prodotto rimane fanalino di coda nella vendita sia dell’hardware che del software) auspicando che Sony faccia tesoro dell’esperienza e per il futuro regali ai programmatori una console più semplice su cui lavorare (e agli appassionati un prodotto dal costo più contenuto).