Sarà colpa della crisi, della scarsezza e instabilità dei flussi pubblicitari, della furbizia delle aziende o del fatto che il servilismo è spesso più un’attitudine che una costrizione, sta di fatto che le “marchette” – che certo non nascono con Internet – nell’epoca del web 2.0 stanno impennando ferocemente.
Così ferocemente che stanno diventando un modello di business, fondato essenzialmente sull’acquisto di raccomandazioni o recensioni, la seconda espressione rappresentando una palese contraddizione in termini – se il formato della recensione si presuppone imparziale, come inquadrare la categoria delle recensioni a pagamento? – invece che di spazi pubblicitari che il lettore riconosce e, se crede, evita.
Che questo comportamento rappresenti un raggiro della buona fede dei lettori è una constatazione piuttosto banale, malgrado le interessate e sorridenti rassicurazioni di chi lucra dalle “marchette”. Che la questione salga agli onori delle stanze dei bottoni governative, malgrado la sua gravità e il suo potenziale corrosivo della credibilità del web, è tutt’altro che scontato: la materia è difficile da normare, così come è difficile indagare la messa in pratica delle logiche “gialle” di sponsorizzazione occulta.
In quest’ottica sorprende – per quel che mi riguarda, molto positivamente – la decisione della Federal Trade Commission USA, di perseguire le raccomandazioni/recensioni pilotate, in quanto ingannevoli.
Nei prossimi mesi, stando alle dichiarazioni rilasciate dall’agenzia alla AP, saranno elaborate linee guida secondo cui “la FTC può perseguire i blogger e le aziende che li compensano, per ogni affermazione falsa o per il non dichiarare conflitti d’interesse”.
È la fine del “paid content” imboscato? Temo proprio di no: la materia è scivolosa e chi ne sta lucrando è abile a sufficienza da schivare le trappole più banali. Sperando che le intenzioni della FTC vengano messe in pratica presto e con strumenti efficaci, non posso tuttavia trascurare il profilo in un certo senso paternalistico del provvedimento.
C’è un limite fra la buona fede e l’ingenuità, così come c’è n’è uno fra l’ingenuità e la stupidità, e la convinzione che sia oro tutto quel che su Internet è fruibile gratuitamente, come i più scoprono solo in queste settimane, sta già rivelandosi più che ingenua.