La questione del “tutto gratis” è già stata trattata da Alessio in un precedente post. Anche se la tesi qui esposta da me è in qualche modo opposta, quanto scriverò non andrà a scontrarsi con le sua analisi. Mi interessa affrontare la questione da un diverso punto di vista, che vada ad ampliare l’argomento.
Le ragioni di chi critica i modelli economici attuali su cui internet ora si basa sono sacrosante, esistono però delle questioni irrisolte che riguardano sia il modo in cui gli utenti sono abituati a percepire il web e la sua fruizione, che fatica ad evolversi insieme alle nuove possibilità offerte dalla rete, sia le aziende di ogni settore e grandezza, che sul web ci lavorano e non sono riusciti ancora a imboccare una strada migliore del “tutto gratis”.
Le condizioni per lo sviluppo di servizi a pagamento non sono mature, perché chi li offre non è attualmente in grado di garantire una qualità sufficiente da poter giustificare la spesa da parte degli utenti nella maggior parte dei casi. Paghereste per vedere un film con la qualità dello streaming di YouTube o per usare Google Documents? Inoltre attualmente ci sono interessi in ballo troppo grandi perché le aziende che operano sul web possano concentrarsi semplicemente su un ritorno immediato degli investimenti fatti.
La morte dello user generated content e il ritorno dei dinosauri
Tutti i cambiamenti che stanno avvenendo nell’ultimo anno su internet, sono soltanto in minima parte la conseguenza di complicate macchinazioni da parte dei grandi attori del web.
Quando fenomeni come Flickr, YouTube, MySpace o LastFM divennero popolari, gli entusiasti credettero in un cambiamento mai avvenuto: Lo user generated content non è mai stato aiutato né da chi gestisce in contenitori, né tanto meno da chi crea contenuti, i quali si dividono tra plagi di prodotti legati all’industria e spazzatura (peggio ancora quanto sono presenti le due cose contemporaneamente), con poche punte d’eccellenza, che in questo panorama forse non possono fare altro che sperare di essere notati ed invitati a firmare un contratto di distribuzione vecchio stile.
L’incapacità dei contenitori di ideare modelli di remunerazione per i creatori di contenuti premiati dal pubblico, la volontà dei fruitori di non riconoscere economicamente il valore dei lavori meritevoli, accompagnata da un ormai collaudato sistema di marchette volto a promuovere il dilettantismo di amici e conoscenti che strozza l’emersione dei veri talenti, sta consentendo alla vecchia industria dei contenuti di tornare in auge.
Gran parte dei fruitori, ma anche chi crea materiale, sono ancora attratti dalla fenomenologia dello star system, forse non del tutto capaci di filtrare autonomamente il dilettantismo dalla qualità senza qualcuno che ponga una selezione per loro.
Nonostante ognuno di noi potrebbe occuparsi autonomamente della gestione della distribuzione di ciò che produce, l’industria torna ad avere nuova dignità, facendo le veci del nostro senso critico. In questo modo però si creano dei canali preferenziali che vanno a snaturare la natura stessa della rete e le nuove possibilità da essa offerte.
Internet è più sofisticata e complessa degli attuali modelli economici
Il web è una grande opportunità che stiamo perdendo. In circa dieci anni il modo di comunicare e di raccogliere informazioni è stato più volte stravolto. Sono entrati a far parte della nostra vita (in ordine cronologico) l’ipertesto, il blog (l’emblema della comunicazione senza costi e facile per tutti), i tag (che introducono nella nostra vita quotidiana rivoluzioni del pensiero come il quadrato semiotico), la creazione di contenuti per contribuzione, la svincolo dei contenuti dai contenitori e il web semantico.
Nonostante l’evoluzione concettuale del web stia tutt’ora galoppando, già adesso c’è n’è abbastanza da mettere in crisi come minimo tre o quattro generazioni, visto che parliamo di innovazioni che riguardano l’intera umanità, o almeno quella raggiunta dalla corrente elettrica.
Per questo motivo la generale incoscienza dei mezzi a disposizione è una delle principali cause dell’impossibilità di monetizzare la rete. Il sistema dell’advertising attualmente è l’unico che garantisce una certa elasticità e riesce ancora, non senza difficoltà, a seguire i cambiamenti.
Tutti hanno allo studio nuovi sistemi di remunerazione, basati sul contributo (economico questa volta) degli utenti, ma tutti sono legati a vecchi schemi che non sono adatti ad assecondare le caratteristiche evolute del web.
Immaginate ad esempio un’editoria online in cui rimanga libera e gratuita solo per quanto riguarda le news e che metta sotto chiave approfondimenti, inchieste e dossier, consultabili soltanto previo pagamento di un abbonamento o per il singolo articolo. Questo è auspicabile se corrisponde ad un aumento della qualità, ma i sistemi di pagamento attuali, basati sulla carta di credito e pochi e popolari servizi di transazione online sarebbero improponibili allo scopo, perché le commissioni avrebbero un costo insostenibile per l’utente ma soprattutto perché si chiuderebbe l’informazione in stanze stagne, e si andrebbero a distruggere le basi su cui il web è stato costruito e su cui si è evoluto. A quel punto varrebbe la pena tornare alla carta, che è almeno più piacevole e rilassante per gli occhi.
Cosa possiamo sperare per il futuro?
Nella speranza che la marcia indietro verso i modelli economici che potremmo definire AFK si arresti, quello che possiamo fare è prendere coscienza del problema e cercare le alternative valide alla gratuità che guardano avanti, invece che al passato.
Nuovi metodi di pagamento elastici e che si possano cucire addosso ai contenuti indipendentemente dalla forma, dal luogo in cui si trovano e da come ci arriviamo sono possibili, dato che le tecnologie adatte allo scopo non mancano.
Gli utenti non senza difficoltà potranno avvicinarsi a nuovi modelli di pagamento ma potranno farlo se ci sarà la volontà di spingerli. Qualcuno è già interessato ad apportare queste innovazioni: Facebook infatti presenterà a breve un suo sistema di micro-pagamenti per dare ai propri utenti una piattaforma fidata di transazione tra gli utenti e le aziende che sviluppano applicazioni nel social network.
Questo però sarà soltanto un assaggio di ciò di cui avrà bisogno la rete. La piattaforma di Facebook è un valido sistema di intermediazione tra i propri utenti e i fornitori di servizi, ma è pur sempre un sistema chiuso e in larga parte fine a se stesso.
Purtroppo tutte le aziende che operano sul web, sono ancora troppo impegnate a diventare l’unico fulcro delle nostre abitudini informatiche e sono più propense a vedere nelle formule di abbonamento un’arma in più per la fidelizzazione degli utenti, e sono quindi tutte piuttosto restie a delle formule di fruizione pay x view che permetta la fruizione dei contenuti. In poche parole finché si può evitare è meglio non darci in mano lo strmento che per gli operatori del web equivarrebbe all’incirca all’invenzione del telecomando per le reti televisive.
C’è da dire anche che un sistema tanto elastico e in qualche modo meritocratico, comporterebbe la definitiva trasformazione degli editori e delle altre industrie dei contenuti in semplici aggregatori ragionati.
Tutto sommato, avere paura dei cambiamenti è umano.