Per le testate giornalistiche che operano sulla rete, è da tempo in atto un processo di ripensamento che ha per oggetto il modello di remunerazione dei contenuti prodotti. Su queste pagine abbiamo spesso discusso di come, in particolare con l’attuale congiuntura economica, le molte testate giornalistiche lanciatesi in rete negli anni del primo boom, stiano tornando sulla convenienza economica della loro presenza online.
Attaccate su un fronte dalla rete gialla del buzz – composta da blogger pronti a cantare le lodi di qualunque inutile gadget per qualche tartina e un paio di mojito, o al limite in cambio del prodotto stesso – e su quello opposto dalle aspettative del rispettivo pubblico, messe in discussione da dilettanti di più o meno successo e più o meno talento, ma sempre e comunque numericamente soverchianti, infine gravate dai costi della produzione di notizie di livello professionale, le testate giornalistiche tradizionali stanno esaminando nuovi modelli di business per ritrovare la sostenibilità economica e salvarsi dall’estinzione.
In questo post vorrei analizzare uno scenario diverso da quelli finora più ampiamente e comunemente discussi, ossia micropagamenti e/o abbonamenti percepiti direttamente, accompagnati o meno da un modello freemium che lasci libere solo alcune sezioni.
Partiamo ovviamente dal presupposto che le notizie, le inchieste giornalistiche, gli approfondimenti e gli editoriali di commentatori esperti ed informati, così come la musica, e forse molto più di certa musica, costano. Tanto basta, o almeno dovrebbe bastare, a mettere sotto una diversa luce il “diritto” che molti si ritengono ormai attribuito per nascita, di fruire gratuitamente di tutto ciò che la rete può contenere.
Non è tuttavia di equo compenso che voglio parlare: si tratta di una logica che riporterebbe nell’editoria online le logiche che già osserviamo nel mondo cartaceo, con in più un ulteriore elemento di complessità (e di poca trasparenza) per quel che concerne la spartizione della torta, essendo i soggetti potenzialmente interessati molto più numerosi.
Veniamo dunque al tema del post: una remunerazione che segua la logica del 5 per mille, applicata non alla denuncia dei redditi, ma ai costi di connettività (comuni a tutti coloro che navigano). Immaginiamo di ricevere all’apertura di un contratto di connettività (la cui durata minima è generalmente di un anno), e comunque una volta l’anno, una scheda in cui indicare i domini destinatari delle sovvenzioni (scelti ovviamente fra quelli che possano garantire una rappresentanza legale univoca e definita).
Immaginiamo che ai siti da noi indicati nella scheda (un numero ragionevole, ovviamente), vada una quota applicata al canone annuale di abbonamento (5 euro al mese per una lista di 5 siti, dunque 1 euro a sito, al mese). Andrebbe ovviamente vietata la pubblicità diretta e qualunque forma di revenue sharing per l’intercettazione delle quote di remunerazione: andremmo a remunerare solo quei siti che, per qualità e puntualità d’informazione, meritano secondo noi di essere incentivati a lavorare ancora di più e ancora meglio.
Il tutto proponendo all’utente non di affrontare decine di micropagamenti per trovare l’informazione che cerca, o altrettante decine di pagamenti annuali per altrettanti abbonamenti, ma una “interfaccia” unica e meritocratica, gestita con criteri di trasparenza assoluta.
Offrendo questo canale di remunerazione a chi lavora bene e non ci propina marchette travestite da recensioni, e sottraendolo a chi ci bombarda di pubblicità invasiva e spesso fuori contesto e cerca di manipolare le nostre opinioni per un tornaconto, riusciremmo forse a rendere la rete più simile ai nostri requisiti. Il che sarebbe per inciso:
1) un buon modo di dimostrare a tutti quei signori che ad ogni pie’ sospinto ci ripetono che se i media fanno schifo è perché il pubblico fa schifo, che in realtà sono solo loro a fare schifo;
2) un modo per evitare che le testate giornalistiche, al restringersi degli incassi pubblicitari, inizino silenziosamente a “ingiallire”.
Che ne dite? Le ferie mi hanno reso troppo ottimista? Sarà colpa di un’insolazione? O c’è davvero qualcosa di sensato in questa idea?
NB So benissimo che in Italia il giornalismo naviga in pessime acque, che la libertà di stampa è continuamente messa in discussione, che con le sovvenzioni statali si scoraggia quotidianamente il giornalismo di qualità e che tutto il mondo ci mette alla berlina per l’incapacità strutturale del nostro sistema di comunicazione, di contrappesare le influenze politiche, a partire dalle nomine dei direttori RAI. Tuttavia non è questo l’argomento del post, quindi cerchiamo di volare più in alto. Magari, con la dovuta scaramanzia, un giorno o l’altro il prodotto di una discussione sul tema della remunerazione potrebbe tornarci utile.