I casi di omicidio in Italia e all’estero, che coinvolgono giovani studenti, hanno portato alla ribalta della cronaca il ruolo dei social media nelle indagini della polizia.Il fatto che molti giovani scelgano di rendere pubblica, almeno all’interno di una cerchia di amici, la propria vita privata è un fatto che ha, potenzialmente, un valore strepitoso per chi deve compiere le indagini.Innanzitutto studiando con attenzione la rete di “amicizie” legate ad uno o più siti di social networking è possibile tracciare una mappa delle conoscenze della vittima, capire quali di queste possano essere interessanti ai fini delle indagini, conoscere il contesto in cui viveva la vittima e così via.Vi sono poi alcuni utilità specifiche che si possono ricavare dai singoli strumenti del Web 2.0. Pensiamo ad un appassionato utente di Twitter, uno di quelli che aggiorna il suo micro-blog praticamente ad ogni cosa che fa. E’ inutile dire quanto ciò possa essere di aiuto a chi deve svolgere delle indagini, che si ritrova ad avere una miniera di informazioni, complete di data e ora.Il social networking è la trappola per tutti i criminali? No, affatto. Se da un lato i nuovi tool del web possono essere utili per scoprire la verità, dall’altra possono essere usati altrettanto abilmente per nasconderla.Un ragazzo che conosca bene il funzionamento dei social media potrebbe, ovviamente nel tempo e con un piano ben strutturato, costruire ad hoc una finta rete pensata apposta per depistare le indagini e generare confusione.I social media, quindi, non sono altro che un nuovo strumento che porta con sé possibilità e rischi per chi deve svolgere indagini. Uno strumento che la polizia deve sbrigarsi ad imparare ad usare perché, soprattutto in delitti non premeditati tra giovani, potrebbero rivelarsi l’elemento più prezioso per giungere alla verità.
I social media ottimi alleati della polizia? Sì e no!
- Francesco Federico
- Tutti gli Appunti Digitali
- 29 Novembre 2007
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