All’inizio dell’800 Beethoven compose molta musica, tra cui la famosa Nona Sinfonia, pur essendo completamente sordo. Un musicista sente la musica prima di tutto nella propria testa, per poi produrla tramite il suo strumento o la sua voce. Ma cosa succede nella nostra testa quando pensiamo ad una nota, o semplicemente quando pensiamo e basta?
Nel 1924, per la prima volta, Hans Berger scoprì l’esistenza delle onde cerebrali, ovvero onde elettromagnetiche che si formano nel nostro cervello per permettere ai neuroni di comunicare l’un l’altro. Queste onde sono attualmente la base degli elettroencefalogrammi ed il principale metodo di diagnosi dell’epilessia e altre forme di malattie neurologiche. Nel 1970 vi è stato il primo tentativo, da parte di Jacques Vidal, di utilizzare queste onde cerebrali per comunicare con un computer.
Quest’argomento ha avuto grande successo tra la comunità scientifica, ed un’intera branca di neuroscienze si è sviluppata in questo senso, sotto il nome di BCI (Brain-computer interface). L’idea non è molto diversa dalle neuroprotesi , quando un apparecchio elettronico va a sostituirsi a parte del sistema nervoso umano, fornendo per esempio supporto a persone non vedenti o non udenti.
La principale differenza tra le neuroprotesi e il BCI è che il Brain-computer interface non può essere collegato a qualsiasi parte del sistema nervoso, come ad esempio alla parte periferica come accade per le neuroprotesi, ma è un’interfaccia di comunicazione tra il cervello vero e proprio e un computer, ovvero, per dirla in modo un po’ fantascientifico, è un sistema di comunicazione tra il cervello umano e il cervello elettronico.
Nel 1990 è stato raggiunto il primo successo in questo campo, quando Jonathan Wolpaw insieme al suo gruppo di ricerca sono riusciti ad utilizzare per la prima volta le onde cerebrali per muovere il cursore del computer. Non appena la tecnologia permette una nuova forma di espressione, l’uomo ne approfitta, e l’idea produrre musica tramite le onde cerebrali non ha tardato ad arrivare.
A dire il vero, quest’idea aleggiava nell’aria già da molto tempo, infatt la prima persona che è riuscita a comporre della musica “con la sola forza del pensiero” è stato Alvin Lucier, un compositore americano che nel 1965 ha presentato il pezzo “Music for Solo Performer “.
Per questo pezzo l’artista ha collegato sul proprio cranio degli elettrodi in grado di rivelare sbalzi nelle onde alpha (ovvero un tipo di onde cerebrali) prodotte dal suo cervello. Queste onde alpha erano poi amplificate e il risultante segnale elettromagnetico utilizzato per far vibrare una persussione che veniva così ascoltata dal pubblico in sala.
Oggi, in Inghilterra, nel Centro interdisciplinare per la ricerca della Computer Music dell’Università di Plymouth, il professor Eduardo Miranda, che dirige il Future Music Lab, sta lavorando con la sua équipe allo sviluppo di progetti legati alla BCMI (Brain Computer Music Interface, termine da lui coniato), ovvero quella sezione della BCI applicata alla musica. Anche questo studio, come la BCI vera e propria, è mirato a facilitare la vita e la possibilità di comunicazione delle persone disabili.
In particolare la ricerca di Miranda si basa sulle esperienze storiche precedenti, ma le sviluppa sotto diversi punti di vista. Innanzi tutto, il segnale dell’elettroencefalogramma viene studiato ed analizzato in modo molto più approfondito, con nuove tecniche studiate ad hoc. Inoltre, vengono effettuate diverse prove psicofisiche sperimentali in modo da migliorare la comprensione della componente delle onde cerebrali associate alla cognizione musicale dell’individuo, anche per insegnare alla persona a concentrarsi nella produzione di onde alpha di questo tipo, specifiche per la creazione della musica. Infine, vengono applicate queste ricerche per lo sviluppo di tecniche applicabili per la composizione musicale tramite la BCMI.
Le difficoltà da affrontare sono ancora molte, perché spesso per una persona con un elevato grado di disabilità può essere difficile controllare l’ambiende circostante ed il proprio elettroencefalogramma. Ciò non di meno, le applicazioni della BCMI non tardano ad arrivare, soprattutto grazie all’estro artistico umano, che è sempre pronto ad approfittare di queste nuove tecnologie per esprimere il propri sentimenti e le proprie sensazioni in modo completamente nuovo e innovativo.
Per maggiori informazioni su questo argomento, consiglio la visione della video-intervista pubblicata sull’Espresso a cura di Ludovica Amoroso: http://espresso.repubblica.it/multimedia/5639026.