Ricordo ancora la prima volta che vidi una stampante/copiatrice laser a colori: correva l’anno 1990 e la Panasonic decise di organizzare una dimostrazione di questo nuovo, costoso ritrovato – nato con quattro anni di anticipo rispetto alla prima HP Color Laserjet – all’interno di un convento. Ho ancora chiaro lo stupore di quel momento: il mio Amiga 500 equipaggiato con una stampante 24 aghi a colori (l’indimenticata Citizen Swift 24) in quegli anni bastava per far ingiallire d’invidia i miei amici.
Oggi la stampante 3D farebbe drizzare i capelli anche al sig. Spock: immaginate il gusto di “stampare” un solido – a partire da un file tridimensionale – con la stessa naturalezza con cui una normale stampante stampa su carta?
Quella che in questi mesi muove i suoi primi passi sul mercato consumer è in realtà una famiglia di tecnologie che ha origine negli anni 80, utilizzate per la prototipazione rapida. Originariamente pensata per produrre pezzi di ricambio “on demand” in condizioni critiche (per esempio ricambi per aeroplani su una portaerei), la prototipazione rapida ha conquistato un ruolo centrale nello sviluppo di nuovi prodotti, nell’architettura e nel design.
La tecnica oggi impiegata per la stampa 3D, è la sintesi di processi tipici del rapid prototyping e consiste nella solidificazione strato per strato di polveri o liquidi plastici ad opera di un’apposita testina o di un laser. L’oggetto che prende forma al termine del processo, è dunque costituito dalla sovrapposizione di un grande numero di strati, che nei modelli più evoluti di stampanti 3D possono essere colorati a 24bit, anche con più colori per ogni strato.
I prezzi di questi dispositivi iniziano a diventare accessibili: un modello base può essere preordinato oggi a 5000 dollari: molto meno dei 30 milioni che nel 1990 servivano per portare a casa la laser a colori della Panasonic.