Nient’altro che un’operazione di facciata: è questo il secco giudizio di una recente analisi della Associated Press circa i provvedimenti finora presi negli USA per la gestione del riciclaggio di materiali elettronici.
Secondo l’analisi, a valle dei sistemi di raccolta messi a disposizione dei consumatori per agevolare lo smaltimento, si celano le solite pratiche illecite, che prevedono l’imballaggio e la spedizione dei rifiuti verso paesi tecnologicamente non in grado di provvedere correttamente al riciclaggio.
Una volta che i materiali – valutati dall’indagine in circa l’80% delle 3/400.000 tonnellate di rifiuti tecnologici prodotti ogni anno negli USA – raggiungono le sponde di paesi come la Cina (che sorpresa!), vengono trattati con procedure e mezzi rudimentali, che disperdono materiali tossici e/o potenzialmente recuperabili e soprattutto espongono i lavoratori e l’ambiente alla contaminazione per mezzo di sostanze dannose.
In assenza di un drastico cambiamento delle politiche di sorveglianza sui cicli di smaltimento dell’e-waste, anche provvedimenti all’apparenza risolutivi, come quello varato dallo Stato della California in merito al riciclaggio obbligatorio dei telefoni cellulari, non faranno altro che alimentare le pratiche di cui sopra.
Va aggiunto che, sempre secondo il rapporto di AP, molte di queste spedizioni, avvengono sotto l’egida del riutilizzo, concetto in voga nel settore e apparentemente positivo, se non rappresentasse un ombrello troppo comodo per occultare sistemi di smaltimento sbrigativi ed economici.
Il governo cinese si dice nel frattempo fortemente impegnato nel tentativo di ostacolare le spedizioni: nei primi nove mesi del 2007 pare abbia rimandato al mittente 85 container di immondizia elettronica, dei quali solo 20 però, provengono dagli USA: un dato da tenere a mente prima di puntare l’indice contro i paesi d’oltreoceano.