Cos’è il talento, e cosa ha a che fare con i media? Nella definizione del De Mauro Paravia, il talento è una predisposizione, particolare capacità e abilità nel fare qualcosa. L’uomo è attratto ed affascinato dalle rappresentazioni del talento, probabilmente è possibile che questo abbia a che vedere con l’istinto alla sopravvivenza: gli uomini dotati di specifici talenti, ad esempio nella caccia, probabilmente in passato hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivere e quindi di perpetuare la specie.
Un antropologo potrebbe accreditare o confutare questa ipotesi, ma torniamo a tempi più recenti, dove il talento non deve più essere applicato per procacciare il cibo, per quello bastano dei contanti o una carta di credito. No, il talento è necessario per accedere all’olimpo delle persone famose, quella casta di esseri umani che sono riconosciuti e riconoscibili, non necessariamente o non sempre per meriti particolari, ma piuttosto per l’effetto di una sovraesposizione mediatica.
Tale esposizione è spesso passiva, ma se di intensità sufficiente, come potrebbero ad esempio essere alcune settimane nella casa del Grande Fratello, produce una spinta verso l’alto tale da rimanere in orbita un limitato periodo di tempo, quanto basta per lanciarsi alla disperata ricerca di un talento, plausibilmente vero questa volta.
Così un certo tipo di reality-show produce delle meteore mediatiche che transitano consumando se stesse a contatto con l’etere, per poi svanire nell’oblio. L’effimero è presentato come vero e produce effetti para-reali.
Una sorta di correzione a questo fenomeno, o forse si tratta solo di una variante sul tema, trova spazio nei talent-show. Invece di rappresentare la realtà, qui si cerca di portare alla luce il talento. Da Amici a X-Factor è tutto un tripudio di genialità, diamanti grezzi e scouting.
Anche in questo caso però, è difficile capire se viene prima l’uovo o la gallina: è la televisione il mezzo attraverso cui i talenti sbocciano, o il canale catodico ha solo trovato nuova linfa e storie da fagocitare e risputare fuori dopo averle usate, in barba a tutti coloro che da tempo sono pronti a celebrare il funerale di quello che comunque è il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza?
Facciamo un esempio concreto: Susan Boyle signora di circa 47 anni della campagna gallese, non particolarmente avvenente, il cui look non è “da salotto di moda”, sale sul palco di Britain Got Talent [una via di mezzo tra La Corrida e X-Factor] e canta I dreamed a dream, davanti ad un pubblico scettico e tre giurati sarcastici.
Susan ha una voce incredibile estrabilia pubblico e giurati: nasce una nuova star . Anomala nell’aspetto fisico, almeno per il momento, ma senza dubbio una star. Il video della sua esibizione è visto online da oltre 63 milioni di utenti, in circa otto giorni – la Gran Bretagna, secondo Wikipedia conta 60 milioni di abitanti, tanto per avere un’idea delle proporzioni.
Ok, in questo caso il talento inteso come predisposizione e particolare capacità non si discute, ma quello che è stato rappresentato è reale?
Susan, con quella voce e la sua dichiarata aspirazione a diventare una cantante professionista, è davvero rimasta nascosta nelle campagne della Gran Bretagna, lontano non solo da qualsisi talent scout, ma anche da qualsiasi influenza derivata dalla cosiddetta società dell’apparire, o l’effetto sorpresa è stato cercato ed accentuato per effetti scenografici?
La televisione è il mezzo attraverso cui la vita di Susan evolverà verso il successo e la popolarità che merita per il suo talento, oppure è il talento di Susan il mezzo attraverso cui la televisione perpetua se stessa nell’arte della rappresentazione?