Durante la mia carriera mi sono spesso imbattuto in soluzioni di raffreddamento “estreme” per CPU, per schede video, per HDD, e, perché no, anche per moduli di RAM. Uno dei metodi più utilizzati e facilmente realizzabili (ma non altrettanto facilmente gestibili) è senza ombra di dubbio il raffreddamento tramite celle di peltier, che è considerato dall’overclocker in erba il primo passo verso il raffreddamento estremo.
Lo scopo del mio post odierno, ennesimo capitolo della mia rubrica “The Hot Spot“, non è tanto quello di fornire un trattato sull’utilizzo di queste particolari pompe di calore, ma di fornire spunti di discussione sul reale beneficio che si ha usandole.
Chi infatti ha un minimo di esperienza in fatto di overclock di processori e schede video avrà sicuramente prima o poi preso in considerazione la possibilità di far arrivare il proprio processore o chip grafico a temperature sotto lo zero tramite l’utilizzo di queste pompe di calore che a prima vista promettono prestazioni in termini di raffreddamento a dir poco spettacolari, a patto però di saperle gestire con molta cautela, pena la formazione di condensa sui nostri amati chip e quindi un corto circuito decisamente assicurato.
Schema semplicistico del funzionamento di una cella di peltier
Per chi volesse approfondire cosa sia in effetti una cella di Peltier, rimando a wikipedia, fonte inesauribile di informazioni “veritiere”.
Al CeBIT 2009 di Hannover, appena conclusosi, non sono stati presentati molti modelli di dissipatori che adottassero questa tecnologia di raffreddamento, ma uno fra tutti, argomento per una news anche di HWUpgrade.it, ha suscitato in me la domanda: perché alcuni produttori di componenti HW si ostinano a presentare soluzioni di raffreddamento con le celle di Peltier, pur sapendo che sono totalmente inefficienti, se analizzate dal punto di vista della mera relazione costo di utilizzo/beneficio?
Vediamo di chiarire la questione in via del tutto bonaria, senza addentrarci nei calcoli astrusi e complicati che tanto piacciono ai tecnici o presunti tali, ma che in realtà potrebbero non portarci da nessuna parte. Prima di tutto, la cella di Peltier ha un “costo d’esercizio” (chiamamolo così per semplicità) non indifferente: per poter funzionare, necessita di parecchia energia elettrica.
Mi verrà fatto notare che anche le normali ventole usano energia elettrica. Ma c’è una bella differenza tra gli 0,05A assorbiti da una normalissima ventola da 40mm che si può installare sui banchi di ram, senza troppo pretendere dal proprio alimentatore, ed i 4~5A assorbiti da una cella di Peltier usata per compiere lo stesso lavoro.
A parte i consumi, poi, c’è da considerare il fatto che una cella di peltier necessita di essere ottimamente gestita e quindi calibrata nell’utilizzo, per non scendere, dalla parte fredda, al di sotto del punto di brina e quindi creando condensa sul componente da raffreddare. Questo comporta un circuito stampato di regolazione del voltaggio di funzionamento il cui costo poi va ad aggiungersi al costo intrinseco della cella di peltier.
Altro componente necessario è il “cold plate”, in pratica una placca in materiale metallico (rame preferibilmente) che si frappone tra elemento da raffreddare e peltier stessa. Per quanto poco possa costare, è sempre una aggiunta al costo finale. Ed infine, ma non meno importante, il sistema di raffreddamento della parte calda della cella di Peltier. E qui i costi schizzano verso l’alto, considerando che un normale dissipatore ad aria passivo in alluminio già costa qualche €uro in produzione, finito e montato. Non parliamo poi di un eventuale sistema di raffreddamento a liquido dedicato…
Insomma, al posto di una piccola ventolina, che fa egregiamente il suo lavoro (se consideriamo l’applicazione puramente specifica dei banchi di ram di un computer), ci ritroviamo con un sistema di raffreddamento più complesso comprendente una cella di peltier ancorata ad un cold plate in rame, da una parte, ed un dissipatore (a liquido o ad aria) dall’altra, che oltre a costare evidentemente di più della ventolina da pochi centesimi di €uro, ha un peso decisamente maggiore, ed un consumo che non ne giustifica, vista la nuova moda “green computing” in corso, l’utilizzo.
Ora mi ripeto, a scanso di equivoci, la mia stessa domanda: vale la pena di fare tutto ciò?
Sinceramente mi sento di dare una risposta negativa. Sono un amante del raffreddamento estremo, come ben avrete potuto capire leggendo altri articoli della mia rubrica settimanale, ma a tutto c’è un limite. Il limite solitamente si raggiunge quando una soluzione di raffreddamento non solo è efficiente, ma è anche scalabile (e quindi migliorabile con poche modifiche) a costo più o meno irrisorio e soprattutto, limitandomi ad analizzare i costi di acquisto, non ha un prezzo esorbitante.
A questo aggiungiamo che deve essere anche efficiente in termini di consumi energetici. Se una di queste variabili viene disattesa o non rispettata, il sistema di raffreddamento preso in esame perde valore e diventa difficilmente giustificabile nell’ottica di un rapporto costo/benefici.