Apple’s stated position in personal computers is innovative technology leader. This position implies that Apple must create a standard on new, advanced technology. They must establish a “revolutionary” architecture, which necessarily implies new development incompatible with existing architectures.
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As the independent investment in a “standard” architecture grows, so does the momentum for that architecture. The industry has reached the point where it is now impossible for Apple to create a standard out of their innovative technology without support from, and the resulting credibility of other personal computer manufacturers. Thus, Apple must open the Macintosh architecture to have the independent support required to gain momentum and establish a standard.
Ci lasciamo alle spalle la ricca parentesi videoludica delle ultime puntate, per tornare ad occuparci di quei punti di svolta che hanno condizionato e condizionano presente e futuro dell’industria informatica.
Come avrete intuito dal titolo, siamo di fronte ad un momento storico nell’evoluzione del mercato PC: Bill Gates, CEO della rampante Microsoft, fresca di accordo con IBM, propone ad Apple di aprire la sua architettura hardware, in modo da stabilirsi sul mercato come uno standard.
Standard è una parola che vediamo spesso ricorrere nel vocabolario di Gates: una parola che possiamo dire abbia ispirato la sua intera concezione imprenditoriale. Essere lo standard è stato innanzitutto l’obiettivo di Microsoft, fin dai primi giorni della sua esistenza.
Il memo di cui discuteremo in questo nuovo tuffo nella nostalgia informatica, arriva ad una Apple in piena fase di riorganizzazione, in seguito al coup d’etat dell’allora CEO John Sculley, nel maggio del 1985.
Gates scelse in effetti il momento migliore per lanciare la sua idea di modifica del modello di business di Apple: le vendite del Macintosh, dopo una partenza a razzo, erano stagnanti da circa un anno e l’impressione generale dell’industria – che dall’altra parte vedeva il mondo PC x86 in continua evoluzione, grazie in buona parte agli sforzi dei rampanti produttori di cloni e periferiche di terze parti – iniziava a profilarsi intorno all’idea che lo sviluppo del Mac fosse in una fase di stasi, che il sistema fosse sottodimensionato in quanto a dotazione hardware, incapace di adattarsi ai requisiti del mondo aziendale e in ultima analisi destinato a soccombere.
Il momento era azzeccatissimo anche perché l’influenza di Jobs, acerrimo rivale di Gates fin dal momento dell’annuncio di Windows, sull’evoluzione del Mac, era appena stata azzerata dal massiccio riassetto operato da Sculley, il quale era al tempo favorevole a procedere sulla strada dell’interoperabilità col PC.
La mossa di Gates, già coinvolto attivamente nello sviluppo del PC – dopo la marginalizzazione del padre del DOS, Gary Kildall – e nello sviluppo di quello che negli anni a venire verrà considerato dai fan del Mac, il più grande ripoff della storia, ossia Windows, testimonia la sua geniale lungimiranza commerciale.
Sul futuro dei cloni pesava nel 1985 ancora la paura di una causa legale di IBM (prima che il gigante di Armonk prendesse la strada delle estensioni proprietarie come MCA), che avrebbe potuto sigillare l’intero mercato – va ricordato che due anni prima, un produttore americano di cloni dell’Apple II, Franklin, perse una causa contro Apple e fu costretto a cessare la produzione del suo Ace.
Come conseguenza dell’apertura di Gates al nascente mercato dei cloni, non è difficile immaginare che la stessa IBM, all’indomani di una vittoria legale, avrebbe imposto ad una Microsoft privata di una interessantissima prospettiva di sviluppo, condizioni molto più stringenti e un’attitudine molto più ostile.
L’idea dell’apertura di un fronte di fitta collaborazione con Apple rappresentava dunque per Gates molto più che una mossa “just in case”: operare con un produttore che abbracciasse esplicitamente l’idea di diventare uno standard, avrebbe significato per MS un ruolo da protagonista su entrambi i tavoli su cui si giocava la partita del futuro del PC.
La natura del rapporto Apple/Microsoft immaginato da Gates, nell’ipotesi dell’apertura del Mac, merita una riflessione.
Il core business di MS nel 1985 consisteva nello sviluppo e la commercializzazione in bundle di sistemi operativi in partnership con IBM e i primi produttori di cloni. L’azienda era presente anche nel mercato delle applicazioni – vendeva tra l’altro un nutrito numero di programmi per Apple II e Mac – ma la sua posizione rispetto alla concorrenza era molto più solida nel mercato degli OS.
Inoltre la lettura del memo, che in più occasioni fa riferimento alle deficienze hardware del Mac, e ai benefici che la piattaforma avrebbe potuto ricevere dall’apertura della sua architettura hardware allo sviluppo di OEM e produttori di periferiche esterni – è utile ricordare che al tempo la quasi se non totalità delle periferiche Mac era prodotta dalla stessa Apple – lascia intendere che l’idea di Gates circa il business di Apple, fosse quella di una hardware company più che di un’azienda che traeva i suoi utili dal vendere ad un mercato allargato di OEM MacOS: un’azienda, insomma, più complementare che competitiva rispetto a MS.
Un’idea che ha assolutamente senso se consideriamo che, al tempo dell’invio del memo, il business di Microsoft era ancora strettamente legato ad IBM – il mercato dei cloni cresceva ma era ancora immaturo – e che, dal punto di vista di un’azienda, è naturale sforzarsi di non dipendere da un solo partner (ironicamente, fra le criticità del Mac, Gates citava la paura delle aziende di un “lock in” nella piattaforma HW/SW di Apple).
Nel memo Gates offre la sua collaborazione anche sul fronte del “OEMing software”, ma questo non basta per escludere secondi fini: MS-DOS era l’OS più venduto sulla più venduta e più rampante piattaforma hardware del momento. Gates aveva senz’altro da guadagnare sul fronte applicazioni, da un’espansione della quota di mercato della piattaforma Mac compatibile, ma è pur vero a pochi mesi dal memo, Windows 1.0 avrebbe debuttato, con l’intento di privare MacOS del suo principale vantaggio competitivo.
Mi pare dunque del tutto ragionevole pensare che, all’indomani dell’apertura dell’architettura, MS avrebbe portato i protagonisti del suo core business, MS-DOS, e il nuovo nato Windows, sul Mac, facendo eventualmente leva sulla stessa esperienza nel “OEMing software” che offriva ad Apple, e che Apple non aveva affatto.
È d’altronde difficile pensare che lo scopo della proposta di Gates fosse, in ultima analisi, quello di dare un’altra chance a un OS avanzato ma dopotutto già relegato a una quota piuttosto minoritaria, contribuendo a farne il rivale n° 1 dei suoi MS-DOS e prossimo venturo Windows.
MS-DOS godeva tra l’altro di una fortissima presenza in mercati scettici rispetto al Mac: un potere che avrebbe facilmente persuaso Apple ad inghiottire la pillola.
Una pillola che capiamo dunque essere avvelenata, in quanto avrebbe ridotto Apple alla stessa fine di IBM, con la differenza che Apple non possedeva il salvagente che ha tenuto a galla IBM dopo l’uscita dal mercato PC, ossia un fortissimo indotto proveniente dalla presenza in mercati ricchissimi, esterni al mondo consumer.
In quest’ottica suscitano perplessità tanto le affermazioni di alcuni executive Apple relativamente al memo – se avessimo dato [il Mac] in licenza ieri, saremmo la Microsoft di oggi diceva nel 1994 Ian Diery, ex VP – tanto quelle di un libro del 2004 (un anno prima che IBM uscisse definitivamente dal mercato PC), Apple Confidential 2.0, in cui si sostiene che il più grande errore strategico di Apple è stato quello di non dare in licenza l’hardware e il software Mac.
Come per molti casi presi precedentemente in esame, anche l’attuazione del piano di Gates avrebbe comportato enormi differenze nel presente dell’industria: in primis il protagonismo, o perlomeno co-protagonismo a fianco di x86, della discendenza del 68000.
Col senno di poi tuttavia, l’esito della vicenda mi pare il migliore, anche se non l’ideale, per il mercato nel suo complesso, e forse anche per Gates il quale, in assenza di un avversario, avrebbe forse ricevuto ancor più pressione dall’autorità antitrust.