Google, attraverso il responsabile per le relazioni istituzionali intervistato da Vittorio Zambardino, ha deciso di esporsi e di far sentire la propria voce sul celebre emendamento 50.0.100, che ho già trattato in un precedente post.
Diplomatico nel tono, ma molto meno nei contenuti delle sue risposte, Marco Pancini non si tira indietro nemmeno quando il giornalista gli propone un paragone tra il nostro Paese e i peggiori Stati al mondo per libertà di espressione, come la Cina e la Birmania.
Il portavoce di Google critica l’emendamento da molti punti di vista, partendo da quello in qualche modo più tecnico, che riguarda il ruolo delle varie aziende nella “filiera” del web che viene calpestato da quest’emendamento, scritto evidentemente senza la coscienza dei mezzi che pretende di regolamentare. Fino ad arrivare a toccare temi prettamente politici e morali.
L’intervista poi si contrappone a quella al senatore D’Alia, autore del discusso emendamento, momentaneamente non più disponibile sul sito de L’Espresso, ma riportata integralmente nel blog di Grillo.
Marco Pancini spiega nell’intervista che il principale problema per chi pubblica contenuti sul web è che non c’è più distinzione tra l’autorevolezza e il ruolo ricoperto dalle varie forme di pubblicazioni di contenuti sul web. Questo emendamento va a colpire indiscriminatamente il blog personale, la testata giornalistica o il fornitore di servizi per la pubblicazione o l’indicizzazione di contenuti allo stesso modo. Per i diversi ruoli svolti da ognuno e per la diversi modi di esprimersi in relazione al tipo di mezzo utilizzato non possono essere paragonati. La decontestualizzazione dell’espressione in rete denota ignoranza e quindi incapacità di legiferare in materia.
Un secondo problema riguarda il mancato coinvolgimento dei servizi di pubblicazione e indicizzazione. L’articolo 50 della legge 733 nella regolamentazione dei contenuti non coinvolge le piattaforme in cui viene pubblicato materiale considerato illegale, ma dispone il loro oscuramento, tenendo di fatto sotto un regime di ricatto le stesse, impedendo un confronto sulla reale necessità di eliminare un contenuto.
Pancini spiega anche che esistono già leggi che puniscono reati legati all’apologia e all’istigazione di reato che colpiscono il diretto responsabile e non c’è nessuna necessità di colpevolizzare le aziende.
Desta preoccupazione anche il fatto che si crea una nuova “filiera del controllo” che scavalca la magistratura e mette per la prima volta nella storia della democrazia italiana uno strumento (incostituzionale ndA) di oscuramento in mano a un organo politico, invece che giuridico. Il portavoce di Google sente la necessità di rimarcare su questo punto concludendo piuttosto eloquentemente: “Me lo lasci dir bene, su questa faccenda siamo molto preoccupati, davvero…”
Se il motorone di ricerca è preoccupato per le sorti della libertà di espressione in rete in Italia non è soltanto per quanto possa avvenire nel nostro Paese, che per Google non rappresenta neanche uno dei mercati pubblicitari più interessanti, visto lo scarso utilizzo della rete che si fa ancora in Italia.
Google, così come tutte le aziende che lavorano sulla rete e tutta la stampa politica occidentale segue molto attentamente quello che avviene nel nostro Parlamento, con molta preoccupazione.
Il nostro Presidente del Consiglio, pur non conoscendo affatto la rete, ha dichiarato la necessità di regolamentarla. Sono bastate poche e vaghe parole, da parte di chi è proprietario di un’industria televisiva che ha portato YouTube in tribunale per far mobilitare la stampa di tutto l’occidente.
In un clima di costante e veloce evoluzione dei mezzi di comunicazione, manca ancora una completa comprensione di questi, che potrà arrivare solo con il tempo e l’esperienza che saranno necessari per prenderne coscienza. In questo particolare periodo storico è indispensabile che nel rispetto di alcune norme fondamentali, la rete possa continuare a crescere libera e solida.
Mentre chi ha a cuore lo sviluppo intellettuale e culturale aspetta paziente che i tempi siano maturi per dare dei giudizi a questa esplosiva realtà, chi invece ha interesse a mantenere l’ordine sociale, politico ed economico precostituito ha fretta di legiferare prima che il cambiamento possa avvenire. È poi oltremodo banale e scontato spiegare che bloccare l’innovazione significa paralizzare una società.
Il nostro Paese è anche tristemente noto per un semianalfabetismo ancora oggi dilagante, condizione che può portare a sottovalutare l’importanza di dialogo e confronto, favorendo la stesura e l’approvazione di leggi, che oltre a costituire palese incostituzionalità in Italia, rischiano di creare gravi precedenti nel dibattito internazionale sulle questioni inerenti al web e alla libertà di espressione.