Prima di essere acquisita dalla Walt Disney, prima ancora di iniziare a produrre film d’animazione, la Pixar era un’azienda con molte ottime idee ma piuttosto confuse, che faticava a trovare fonti di finanziamento per le attività di ricerca – assolutamente pioneristiche – che svolgeva in ambito digital video. Una delle molte aziende avanti nel tempo, di cui ci piace occuparci nella plurititolata rubrica dedicata alla nostalgia informatica.
Nella sua storia grandi nomi del mondo cinematografico, tra cui George Lucas e Francis Ford Coppola, s’incrociano ad oscure figure tecnologiche alla base di grandi rivoluzioni come Dick Shoup, il creatore del primo frame buffer, e a grandi santuari del computing come lo Xerox PARC.
Per quanto in sé il Pixar Image Computer rappresenti un hardware oscuro, su cui tuttora si sa poco, esso è parte integrante degli albori dell’animazione digitale ed è frutto delle menti che concepirono il CAPS (Computer Animation Production System) della Disney. Non esattamente robetta.
Dopo numerose vicissitudini, fra avventure dagli esiti incerti, difficoltà finanziarie e autentici pezzi di storia del digital video – come la sequenza della disintegrazione del pianeta Genesis in Star Trek II – nel 1986 ILM, questo il nome di uno sparuto gruppo di pionieri dell’animazione digitale, incrociò il cammino di uno Steve Jobs sconsolato ma pieno di soldi, in seguito alla vendita di tutte le azioni Apple di cui era in possesso.
Il primo prodotto della Pixar, nome che lo stesso Jobs attribuì alla neoacquisita ILM (Industrial Light & Magic), fu per l’appunto l’Image Computer (1986), un sistema progettato per l’animazione computerizzata.
Il suo prezzo non era esattamente amichevole: 135.000 dollari più gli almeno 35.000 necessari per la workstation Sun o Silicon Graphics che lo pilotava. Era del resto un’epoca in cui la creazione di ogni singolo frame di un cartone animato, richiedeva decine di ore uomo: il risparmio di tempo offerto dal sistema Pixar poteva ben valere un buon investimento.
Le sue vendite furono tuttavia scarse, limitate primariamente da quella che era all’epoca la dimensione dell’industria dell’animazione. Questo indusse la Pixar a riposizionare l’Image Computer su mercati che richiedevano le massime prestazioni grafiche, come quello medico.
Basti in questa sede ricordare che il sistema poteva gestire risoluzioni idonee per la TAC (tomografia assiale computerizzata) e che fu dotato, in versioni successive, del primo RAID con una capacità di 3GB, quando 2GB era il massimo teoricamente utilizzabile per lo storage di massa da un computer dell’epoca.
Anche il campo medico non generò tuttavia le vendite sperate, tanto che già nel 1990, Pixar decise, dopo alcuni step evolutivi e riduzioni di prezzo, di liberarsi della sezione dedicata all’Image Computer.
Fra le opere che mostrano le enormi potenzialità che questo sistema offriva più di vent’anni fa rimangono Luxo jr, il celebre filmato da cui deriva l’attuale logo di Pixar, ma anche numerosi cartoni animati della Walt Disney, l’ultimo dei quali fu Pocahontas nel 1995.
La celebre casa di produzione americana si è avvalse infatti per circa un decennio dei sistemi prodotti dalla Pixar, prima di acquisirla nel 2006, mostrando a un mondo ancora inconsapevole, le potenzialità dell’animazione computerizzata e la direzione di un’evoluzione che dopo Toy Story (1995) sarebbe divenuta inevitabile per tutto il cinema.