Per la plurititolata rubrica Nostalgia Informatica, torniamo ad occuparci del glorioso marchio Olivetti. Abbiamo parlato dell’M24 (1984), un sistema che, malgrado la grande popolarità di cui godette, rappresentò forse il canto del cigno dell’industria informatica italiana.
È necessario fare un salto indietro di un ulteriore quarto di secolo, per arrivare al punto più alto raggiunto dalla Olivetti: arriviamo al 1959, anno in cui l’azienda di Ivrea lanciò e mise in produzione, prima al mondo, un computer totalmente a transistor, battendo sul tempo la già titanica IBM.
Ispirato dalla visione di Adriano Olivetti – uno che, quando Steve Jobs non era ancora nato, affermava che il design è l’anima del prodotto – e dal genio dell’ingegnere italiano di origine cinese Mario Tchou, l’Elea 9003 rappresenta una pietra miliare dell’elettronica mondiale, una rivoluzione copernicana in un contesto dominato dalle calcolatrici meccaniche e da pochi, pachidermici sistemi a valvole, rigorosamente targati IBM.
Oltre che sul fronte tecnologico e prestazionale, Olivetti fa la differenza anche sotto il profilo del design, affidando la progettazione di Elea 9003 ad un giovane Ettore Sottsass.
Il 9003 discende dai modelli 9001 e 9002, prototipi basati su tecnologia a valvole, che svolsero tra l’altro, nella fase sperimentale, importanti funzioni gestionali all’interno della Olivetti e fecero da banco di prova per le successive evoluzioni basate su transistor.
Dal punto di vista tecnico Elea 9003 era in grado di elaborare circa 100.000 informazioni al secondo ed era dotato di una memoria a nuclei di ferrite di dimensioni che andavano dai 20 ai 160 Kb, operante a una frequenza di 100Khz.
Il numero imponente di transistor integrati in Elea (300.000, con requisiti qualitativi molto elevati) convinse la famiglia Olivetti a dar vita – assieme a Virgilio Florani, presidente di Telettra – ad un’azienda dedicata alla loro produzione, la Società Generale Semiconduttori (SGS), poi ST Microelectronics.
La memoria di massa era affidata ad unità a nastro, in un numero massimo di 20, per una capacità di memorizzazione praticamente illimitata secondo una descrizione del 1958. In termini pratici si trattava di circa 500Mb, un quantitativo comunque impressionante per l’epoca.
La programmazione avveniva in Fortran e la velocità operativa della macchina era tale da consentirle di eseguire fino a tre processi in parallelo.
Come ogni storia riguardante gli antichi fasti dell’industria nazionale e della Olivetti in particolare, non si può non chiuderla con conclusioni amare.
L’avventura Olivetti nel mondo dei grandi computer non sarebbe infatti durata a lungo: era difficile mantenere il primato tecnologico contro competitor lautamente finanziati dai rispettivi stati per la ricerca in settori strategici.
Lo stato italiano non solo non seppe incentivare l’eccellenza tecnologica nazionale, ma lavorò attivamente per paralizzarla. Come? Politicizzando le nomine dei vertici e iniettando nei gangli vitali dell’azienda il veleno paralizzante degli appalti assegnati. Da che l’uomo ha iniziato ad “intraprendere”, non c’è un modo migliore per abbattere il tasso di innovazione e competitività.