Un paio di settimane fa ci siamo occupati del fenomeno del “limited edition” e di quanto il mercato, sia in termini di domanda che di offerta, abbia cominciato ad apprezzarlo sempre di più.
Ma c’è un altro aspetto, altrettanto affascinante, che mette in relazione il retrogaming con il puro collezionismo.
La passione per “l’antico”, il gioco polveroso magari compagno dei pomeriggi della nostra infanzia o adolescenza, si lega di frequente al puro piacere del possesso, del titolo da sfoggiare (soprattutto in tempi come quelli odierni, pervasi dalla Rete) perché molto raro.
Con i prototipi, ovvero quei prodotti mai rilasciati sul mercato perché bocciati o diventati obsoleti già nel momento in cui dovevano essere commercializzati, il legame viene spinto fino all’estremo.
Forse ve ne ricorderete sommariamente ma, in realtà, avevamo già trattato l’argomento seppur da una diversa angolazione e lo abbiamo fatto parlando del Sega Neptune.
Ogni azienda, impresa, compagnia commette degli errori. C’è chi persevera e finisce a gambe all’aria come Commodore o Sega e chi invece, come Nintendo, si riprende e può guardare più con il sorriso a quel passato che per fortuna non c’è più.
Quel che è certo è che i fallimenti, se la loro prova tangibile, il “pomo della discordia” (e quindi spesso la console nel nostro caso) non è mai stata rilasciata, non solo è storia ma diventa automaticamente una pregiatissima mosca bianca che solo pochissimi eletti sono in grado di possedere, anche a causa delle alte cifre cui vendono venduti.
Alcuni di questi sono stati solamente dagli sviluppatori delle SWHouse alle quali era stato commissionato un gioco per la piattaforma “fantasma”, altri si sono visti solo alle fiere di esposizione quali l’E3 o il CES di Las Vegas e altri ancora sono stati commercializzati per un tale breve periodo da essere considerati alla stregua dei prototipi (ad esempio l’Apple Pippin).
Proviamo quindi a fare una breve panoramica di alcune delle “meteore videoludiche” che hanno solcato o meglio, che avrebbero dovuto solcare il mercato.
Il caso più recente ed eclatante si chiama “Phantom” e mai nome fu più azzeccato nel suo caso. Diciamo che era predestinata a fallire.
Il progetto di Infinium Labs, start-up nata nel 2002, doveva essere una sorta di pc ma dedicato ai videogiochi, pur mantenendo la stessa espandibilità.
Presentata nell’E3 del 2004, alla fine del medesimo anno era già stata listata come Vaporware, cioè quella categoria di prodotti hi-tech tanto fumo e poco arrosto, circondati da un’aura di hype ma con nessuna sostanza.
Rimandato di un anno, si preannunciava l’uscita in contemporanea alla Xbox360 con cui avrebbe dovuto (?!) competere.
Nel 2006 si annunciò la morte del progetto e lo sviluppo di un sistema analogo allo Steam della Valve, nel quale alcuni componenti facenti parte di Phantom erano stati riciclati.
Si susseguirono altri comunicati stampa ma ad oggi il risultato è che la società ha perso circa 100 milioni di dollari dietro a questo progetto fantasma.
Non male.
Un altro caso interessante fu l’Atari Jaguar Duo.
Il periodo era quello della metà degli anni 90 durante il quale, l’abbiamo già analizzato, imperversava la follia degli add-on (ad esempio il Sega MegaCD) e delle console combo (il Neptune).
La casa americana, non paga dell’insuccesso del Jaguar CD che si poneva come antagonista del 3DO e dell’Amiga CD32, decise per il colpo di genio: combiniamo un mezzo fallimento con un progetto che non ha certo scosso le platee (leggasi Jaguar) così siamo sicuri di affondare al 100%.
Ed è quello che puntualmente avvenne.
Se ne parlò all’incirca per un anno sulle riviste specializzate per poi vederlo cadere nel dimenticatoio.
La storia dei videogiochi è dunque ricca di strani incroci che determinano le fortune o flop clamorosi dei vari attori, ma se davvero volete possedere un pezzettino di queste vicende avvolte spesso dal mistero non potete non rimanere stregati dai prototipi.
Naturalmente, entrare a far parte della storia ha un suo costo e spesso è veramente salato.