Google Chrome da quando è uscito ha fatto parlare di sé, su questo non si discute.
Sia i siti degli addetti ai lavori IT ma soprattutto quelli di informazione generale che ogni tanto trattano temi hi-tech l’hanno definito come un browser rivoluzionario.
Design minimalista e filosofia “un tab-un processo” sono sicuramente elementi innovativi come avete potuto leggere su queste colonne nell’esauriente preview di due settimane fa.
I buoni dati di download rilevati il Day One sono stati accompagnati però da una scia di polemiche riguardo alla licenza di utilizzo e di raccolta di informazioni sensibili durante la navigazione dell’utente (ricordando che il core business di Google è ancora il web-advertising, una materia dunque piuttosto delicata se accompagnata dall’uscita di un browser).
Ma altrettanto se non forse più scalpore ha suscitato la notizia che Chrome utilizza anche porzioni di codice Microsoft.
Da più parti si è cercato e si cercherà in futuro di tirare Google per la giacchetta, di ergerla a paladina del consumatore ed unico vero e credibile antagonista nel comparto dei sistemi operativi quando forse non saranno come più come li conosciamo noi, ma piuttosto interfacce con cui utilizzare le nostre applicazioni installate su macchine remote tramite la Rete.
Tutto questo dimenticando che Google nel settore mantiene una posizione largamente dominante nei confronti degli altri competitor quali Yahoo o MS stessa.
C’è poi chi ha provato a identificarla come un portabandiera dell’Open Source dato che alcuni progetti interni sono stati rilasciati sotto questo “ombrello di licenze” (es. GoogleGears) oppure altri, esterni alla company, vengono finanziati e supportati, qual’è per esempio il linguaggio Python le manifestazioni affini come PyCon.
Eppure è una società in borsa che fa i suoi interessi tanto quanto le altre impegnate nel mercato dell’ITC e non è certo una filantropa che passeggia a braccetto della FSF.
A queste persone sarà venuto un coccolone quando Scott Hanselman ha pubblicato nella sua rubrica settimanale intitolata “The Weekly Source Code” un articolo in cui si evidenzia come proprio il neonato di della grande G faccia uso di codice sorgente proveniente dagli uffici di Redmond.
Secondo infatti i termini di utilizzo, tra le 24 parti provenienti da aziende terze c’è proprio Microsoft. In particolare si menziona la WTL, libreria diventata Open Source nel 2004 e protetta dalla MS-PL, un tipo di licenza piuttosto permissivo in cui si evidenzia la sostanziale assenza di supporto ma al tempo stesso libero fruire del software senza particolari restrizioni.
La Windows Template Library è stato uno dei primi primi progetti tout-court Microsoft relativi all’Open Source; opera di Nenad Stevanovic e nato come progetto interno, poi rilasciato come sample senza supporto alla comunità.
Secondo Pranish Kumar si è rivelata da subito una sfida interessante perché a quel tempo il mercato recepiva ancora l’unica equazione Open Source = Linux.
Dal punto di vista tecnico si presenta come un insieme di framework che permettono di scrivere applicazioni dotate di GUI, senza utilizzare il pachidermico set MFC o senza interfacciarsi direttamente con le Win32 API.
Nello specifico si basa sulle ATL, una serie di classi template C++ che rende più facile lo sviluppo di oggetti COM.
Chrome utilizza anche altre librerie per fornire un’interfaccia su piattaforme diverse da Windows, ma dal momento che WTL è nativa dell’ambiente Microsoft ed è liberamente disponibile perché non usarla?
E’ anche grazie a questa che i tempi di rendering registrati sono così positivi.
Alla fin fine il punto non è proprio avere dei buoni prodotti che aiutino noi utenti a fare meglio e in minor tempo il nostro lavoro, indipendentemente da chi contribuisca alla sua realizzazione?