A volte ho la netta impressione che stiamo varcando i confini del rimbecillimento collettivo. Leggete e ditemi se non siete d’accordo: il 18 Settembre scorso, Sergey Brin ha comunicato ufficialmente, tramite il suo blog personale, che nel suo codice genetico è presente una mutazione che innalza le sue probabilità di contrarre il morbo di Parkinson.
Nella rete e nel mondo giornalistico si è levato un coro di “e stica…?”: non è certo che Brin sarà vittima del Parkinson e, quand’anche lo contragga, non è detto che gli impedisca di svolgere le sue funzioni manageriali.
Molti, nelle ore successive hanno cercato di capire per quale motivo Brin abbia voluto rendere pubblico un dettaglio così personale e dopotutto piuttosto irrilevante.
L’ipotesi forse più interessante arriva dal New York Times, che ha ripescato alcune dichiarazioni rilasciate da Brin in contesto informale circa i benefici di rendere il DNA open source. Ogni dottore – spiega Brin – o chiunque sia interessato, potrebbe guardare i dati e dare consigli circa il modo di gestirli, offrendo suggerimenti circa terapie nel caso in cui ci sia la possibilità di malattie.
Pur essendo fra quelli che ritengono l’enfasi sulla tutela privacy spesso strumentale ai fini di chi ha qualcosa da nascondere, vedo profilarsi qualcosa di sinistro dietro a simili strampalatezze. E poi fra il DNA Open Source e “occhio non vede, cuore non duole” ci sarà una buona via di mezzo?