A pochi giorni dalla diffusione dei dati della BSA, vorrei lanciare qualche spunto sul tema “pirateria” – le virgolette sono d’obbligo perché non ritengo le pratiche violente tipiche dei pirati antichi e moderni, assimilabili con reati legati alla proprietà intellettuale.
Premetto che le considerazioni che seguono non intendono minimizzare la gravità del problema, ma contestare alcuni assiomi e cercare di porre la questione in un contesto più ampio.
Un primo distinguo va fatto fra “pirateria” di piattaforma e di contenuto: premettendo che sempre più spesso si parla di “pirateria” forzando esplicitamente (vedi alcune testimonianze emerse nel caso Jammie Thomas) il concetto di fair use – nelle modalità previste dalle singole legislazioni), per piattaforma intendo genericamente software che consentono la produzione di contenuti in specifici formati o che, come nel caso dei sistemi operativi, rappresentano il centro di un sistema di software satelliti. È principalmente di queste categorie che si occupa l’indagine BSA appena pubblicata. Per contenuti intendo opere audiovisive, libri et similia.
Considerando che la direttiva sulla brevettabilità del software è – in Europa – ancora in un limbo legislativo, il parallelo fra le due categorie di opere è appropriato: entrambe ricadono per adesso sotto la disciplina del copyright.
Il distinguo fra piattaforma e contenuto pone in prospettiva il molto cavalcato tema del mancato incasso: posto che in nessun caso è possibile dimostrare in modo esatto la correlazione fra volume di opere duplicate illecitamente e perdite economiche da mancata vendita, fra “pirateria” di piattaforma e di contenuto insiste una differenza fondamentale.
L’OS, oltre ad essere un prodotto a sé stante, rappresenta il centro di un ecosistema software, che produce valore anche in proporzione dell’ampiezza della base installata (interesse di sviluppatori di terze parti, servizi di assistenza etc.). In modo analogo, un applicativo che produce contenuti in formato proprietario, ha una presa sul mercato proporzionale alla sua diffusione, come il caso OOXML sembra confermare. Tanto nel caso degli OS che in quello degli applicativi, le economie che ruotano attorno alla quota di mercato andrebbero comparate alle stime sul mancato incasso da vendita per ottenere un quadro realistico delle perdite causate dal fenomeno.
La preponderante importanza delle economie dipendenti dalla quota di mercato è dimostrata in modo esemplare dalla guerra dei browser, culminata con la marginalizzazione di un prodotto commerciale, Netscape, a favore di IE: un software che, pur avendo richiesto costi di sviluppo presumibilmente simili, è stato distribuito gratuitamente, non certo per beneficenza. Un caso ugualmente significativo riguarda la rimozione della protezione WGA sul download di IE7, per contrastare l’avanzata di Firefox.
Se da un lato le economie relative alla quota di mercato non rientrano nello scopo dell’analisi di BSA (che tra l’altro include anche software videoludico, non inquadrabile come piattaforma), dall’altro rappresentano un dato indispensabile per una valutazione realistica dell’impatto economico della “pirateria”.
Ad indebolire ulteriormente la relazione fra numero di duplicazioni illecite e mancato incasso c’è il fatto che per alcuni dei software più colpiti, esistono delle alternative gratuite: chi può negare con certezza l’ipotesi che se un determinato software divenisse incopiabile, la massa si sposterebbe verso l’alternativa gratuita (si veda in proposito il caso Cinese, discusso più avanti)? Non è d’altronde vero che proprio la preponderante quota di mercato di alcuni prodotti commerciali e chiusi, ostacola la migrazione verso alternative gratuite?
Infine una considerazione ricorrente in sede di dibattito sulla “pirateria”, è che l’ammontare dei mancati introiti venga compensato da una maggiorazione sul prezzo di acquisto ai danni degli utenti che pagano. Questa equivalenza ha parecchie debolezze: innanzitutto, essendo euristico il computo per mancato introito, come valutare, in modo equo per il consumatore, gli aumenti?
In seconda battuta è il mercato a determinare il prezzo di un bene, in base a variabili come competitività, valuta, ricchezza, costi logistici etc. Prendiamo per esempio la Cina, una delle pecore nere inquadrate da BSA. In Cina Microsoft, una delle aziende più colpite dal fenomeno, sta promuovendo politiche di prezzo molto aggressive (3 dollari per Xp + Office, Vista scontato del 50% e più), forse per combattere l’uso di software duplicato illecitamente, forse anche per contrastare Linux, che tra l’altro asseconda meglio le velleità autarchiche del governo locale.
In ogni caso non è sul mercato cinese che si riversano i costi della pirateria in Cina, il che mi pare abbastanza per invalidare l’assioma di cui sopra. A meno che non si voglia ammettere un meccanismo secondo il quale debbano essere gli utenti USA, il paese più virtuoso nelle classifiche BSA, a compensare le perdite accumulate nel mercato cinese. Il che, di questi tempi, potrebbe ben valere qualche bombardamento strategico.