Per la serie sui Sistemi Propulsivi Aerospaziali andiamo a parlare di una tecnologia ben nota in campo civile, ma assolutamente inusuale in campo aeronautico, l’Energia Atomica per la Propulsione Aerea.
QUANDO LE IDEE SUPERANO L’IMMAGINARIO
Il periodo della Guerra Fredda, come noto, ebbe come particolare caratteristica il ricorso massiccio allo sviluppo di ordigni nucleari sempre più potenti, unito allo sviluppo notevole di tutta l’industria bellica, alcuni esempi dei quali (limitatamente al campo aeronautico) abbiamo avuto modo di esaminarli anche tra queste pagine (1, 2, 3, 4).
Nell’ambito di tale ricerca anche l’uso dell’energia nucleare come energia per la propulsione non poteva non venire contemplata, ed esempi di applicazione di questa tecnologia sono ben presenti in campo militare navale, ma molto meno noti sono gli studi svolti dalle due superpotenze di allora, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, riguardo lo sviluppo di velivoli a propulsione nucleare.
Tali studi, iniziati sul finire degli anni ’40 negli USA e immediatamente dopo nell’URSS (sebbene i primi studi sostanziali risalgano alla metà degli anni ’50) puntavano a sviluppare un velivolo capace di un’autonomia di volo estremamente superiore rispetto a quella di un velivolo convenzionale, grazie allo sfruttamento dell’enorme densità di energia del materiale fissile, ma procedettero con estrema lentezza sino alla metà degli anni ’50 (negli USA), quando vennero definite le specifiche dell’aereo che avrebbe dovuto esserne dotato.
Tali specifiche, indicate come Weapon System (o WS) 125A prevedevano lo sviluppo di un bombardiere strategico in grado di volare per 40 ore ad una velocità pari a Mach 0.9 ad una quota di circa 6100m, volare a Mach 2.5 ad una quota di circa 17.000m percorrendo una distanza di circa 3700km e penetrare le difese avversarie volando ad una quota di circa 150m alla velocità pari a Mach 0.9.
Tale definizione portò anche ai primi investimenti consistenti da parte dell’USAF (United States Air Force), dando un maggiore impulso alle attività di ricerca e sviluppo che fino a quel momento erano procedute principalmente sotto forma di studi di fattibilità prettamente teorici, e portarono alla richiesta dell’USAF presso la Convair della realizzazione in tempi rapidi di un velivolo adatto a testare il funzionamento di un reattore nucleare da 1MW appositamente sviluppato dalla General Electric.
Per accelerare i tempi la scelta ricadde su un aereo già esistente, il turboelica Convair B-36, al quale vennero praticati una serie di adattamenti per potere ospitare in condizioni di sicurezza per l’equipaggio e per i sistemi di bordo il reattore nucleare, e che venne in seguito ribattezzato NB-36H ed il progetto al quale apparteneva venne identificato con il nome Convair X-6.
(Convair B-36 in volo – Courtesy of www.aircraftinformation.info)
IL PROGETTO CONVAIR X-6 – IL VELIVOLO NB36H ED IL FRONTE SOVIETICO
Il Progetto X-6 racchiudeva l’intera attività di sviluppo del velivolo sperimentale richiesto dall’USAF, e come primo step portò come già detto alla modifica del bombardiere strategico Convair B-36 al fine di verificare le problematiche dell’installazione di un reattore nucleare a bordo di un velivolo.
Tale reattore venne ospitato nel vano bombe del Convair NB-36H, ma in nessuno dei test effettuati (in totale 47 voli) il reattore venne mai utilizzato al fine di produrre l’energia utile alla spinta del velivolo, venendo quindi solamente “trasportato a bordo” seppure in condizioni di funzionamento.
Il velivolo venne modificato anche con l’aggiunta di due motori turbogetto General Electric J47-GE-19 ai sei motori turboelica Pratt & Whitney R-4360-53 di cui originariamente era dotato, e venne dipinto il tipico simbolo di pericolo delle radiazioni sul piano verticale di coda:
(Convair NB-36H in volo – si nota la presenza dei due J47-GE-19 ed il simbolo di “pericolo radiazioni” sulla coda)
Nell’ipotesi di funzionamento della propulsione nucleare, la soluzione della General Electric prevedeva l’impiego di un Ciclo d’aria Diretto (a differenza di quanto sviluppato dalla Pratt & Whitney che era di tipo indiretto, con minori emissioni di radiazioni in atmosfera) nel quale l’aria proveniente da un normale compressore aeronautico passava attraverso il reattore riscaldandosi (ed agendo da refrigerante primario) ed espandendo successivamente nella turbina, per certi aspetti in maniera simile a quanto avviene nei motori turbogetto ma in assenza di combustione.
Il reattore sviluppato per tale progetto dalla General Electric (denominato ARE – Aircraft Reactor Experiment) era un reattore nucleare al sodio sperimentale a sali fusi moderato da ossido di berillio, della potenza di 2,5 MWt, la cui temperatura di picco era di 860°C, impiegante sodio liquido come refrigerante secondario.
Analoghe ricerche vennero condotte anche dall’URSS attraverso le attività della Tupolev e della Myasishchev per i velivoli, insieme a Kuznetsov e Ljul’ka per i propulsori, con risultati grossomodo analoghi a quelli degli USA, che portarono allo sviluppo di banchi prova volanti per il test dei reattori, ma senza mai arrivare alla realizzazione concreta ed al test di un propulsore nucleare.
L’unico aereo Sovietico sviluppato fu appunto il banco prova volante Tupolev Tu-95LAL (Leteči Atomski Laboratorij – Laboratorio Atomico Volante) basato sul Tupolev Tu-95.
Tali programmi, oramai caratterizzati dalla richiesta di ingenti investimenti per il loro avanzamento, vennero abbandonati da ambo i fronti agli anizi degli anni ’60 grazie anche allo sviluppo dei missili balistici intercontinentali che modificarono lo scenario dell’aeronautica militare in quegli anni, come abbiamo già avuto modo di discutere all’interno della serie sul Volo Supersonico.
Con questo è tutto per oggi, vi invito a continuare a seguirci su AppuntiDigitali e vi rinnovo l’appuntamento con la rubrica Energia e Futuro per il prossimo lunedì, nel quale affronteremo una soluzione sotto molti aspetti legata a quanto presentato oggi.