Dopo avere ripreso l’aggiornamento della rubrica Energia e Futuro la scorsa settimana, anche questo lunedì continuiamo regolarmente con un post della serie Sistemi Propulsivi Aeronautici andando a presentare una soluzione molto particolare sviluppata per un velivolo davvero singolare che abbiamo già incontrato in queste pagine.
UN MOTORE PER MACH3 – PRATT&WHITNEY J58
Lo sviluppo del Lockeed SR-71 “Blackbird”, ma soprattutto quello del suo “cugino” e predecessore Lockheed A-12 aveva posto in evidenza la necessità di un propulsore in grado di operare fino alla velocità di Mach 3 ma che permettesse anche il funzionamento a bassa velocità per consentire il decollo autonomo, oltre ad una autonomia rispettabile adeguata alle particolari missioni di ricognizione per il quale erano stati sviluppati, pertanto se una soluzione basata su uno Statoreattore poteva apparire adeguata per il raggiungimento del target velocistico, una soluzione basata su motori Turbogetto era invece in grado di superare gli altri due obiettivi ma presentava serie difficoltà per il primo.
Dal momento che nessuna delle due soluzioni presa singolarmente poteva rappresentare una risposta soddisfacente al problema, i tecnici della Pratt & Whitney svilupparono un motore in grado di mettere insieme le caratteristiche di un turbogetto e di uno statoreattore, in modo da soddisfare interamente i requisiti del sistema propulsivo necessario alla Lockheed.
Tale motore, identificato dalla sigla J58, era in realtà stato sviluppato tra il 1956 ed il 1957 dalla Pratt & Whitney come studio interno ed identificato come JT11D, e successivamente destinato a soddisfare le esigenze della US Navy come unità propulsiva per alcuni progetti allora in fase di sviluppo (e da allora denominato J58 secondo la pratica di adottare una lettera di riconoscimento identificante il tipo di propulsore, “J” per i turbogetto, ed un codice numerico per identificare il committente, pari nel caso della Marina).
Solo successivamente esso riscosse l’interesse dall’aeronautica (e, ricordando l’origine del programma ARCHANGEL, della CIA) e della Lockeed che lo utilizzarono come unità per la propulsione dell’inedito Lockheed A-12, inizialmente motorizzato dal Pratt&Whitney J75, motore inadeguato per il raggiungimento delle prestazioni richieste dal progetto.
Tale motore, sebbene durante il suo sviluppo abbia subito varie modifiche e miglioramenti, era dotato di un compressore assiale a 9 stadi ed una turbina assiale a due stadi, mentre il combustore era di tipo tubo-anulare dotato di 8 singole camere di combustione, ed inoltre era presente un post-reattore allo scarico.
La caratteristica principale di questo motore consisteva nel disporre di sei condotti di bypass tra il quarto stadio del compressore ed il post-reattore che permettevano di fornire una maggiore portata di aria al post-reattore riducendo il contributo della turbina alla spinta, e di fatto andando ad operare in una condizione corrispondente al funzionamento di un tipico statoreattore, con la principale differenza che il P&W J58 era costruttivamente un motore turbogetto e che, seppure in percentuale limitata, un contributo alla spinta da parte della turbina (il limite minimo era intorno al 17-18% della spinta totale) era sempre presente.
Questa pratica permetteva di fornire una spinta elevata anche in condizioni nelle quali un normale turbogetto sarebbe incorso in problematiche di tipo fluidodinamico quali lo stallo ed il pompaggio del compressore, con conseguente perdita di efficienza e difficoltà nel funzionamento.
Per potere funzionare al meglio in ogni condizione operativa era stato ideato un particolare sistema di controllo del flusso a monte del compressore, ottenuto mediante la realizzazione di una presa d’aria a geometria variabile costituita da una spina conica capace di scorrere lungo assialmente alla presa d’aria che andava così a generare una sezione di aspirazione anulare costantemente variabile, come visibile nella seguente immagine:
(Courtesy of www.sr-71.org)
Nell’immagine sono visibili sulla spina conica alcuni condotti utilizzati per aspirare lo strato limite e dei condotti indicati come “shock traps” utilizzati per gestire le onde d’urto nella sezione di aspirazione, come meglio visibile nelle seguenti immagini:
(Shock Traps – Courtesy of www.sr-71.org)
(Shock Traps e by-pass – Courtesy of www.sr-71.org)
La complessità di gestione della fluidodinamica del motore ha richiesto anche l’introduzione di opportuni by-pass del flusso d’aria con lo scopo di gestire il funzionamento del motore su un range molto ampio di condizioni possibili permettendo di ridurre l’insorgenza dello stallo del compressore e limitare la temperatura massima degli ultimi stadi dello stesso, sebbene l’insieme di by-pass, la posizione della spina e tutto il resto risultino complessi da spiegare dettagliatamente.
La seguente immagine mostra lo schema del sistema di aspirazione dello strato limite, costituito da una superficie circonferenziale scanalata collocata intorno alla zona di maggiore diametro della spina, al cui interno è presente una cavità collegata con la struttura di alloggiamento del motore in modo da espellerlo all’esterno
(Sistema di aspirazione dello strato limite – Courtesy of www.sr-71.org)
Tale spina conica permetteva di gestire entro un ampio range di velocità di volo la posizione dello shock all’interno della sezione di aspirazione, facendo in modo che esso restasse sempre in prossimità della sezione di gola del condotto Venturi che si veniva a costituire dalla posizione relativa della spina rispetto alla struttura all’interno della quale scorreva.
(Spina conica e shock nella sezione di gola – Courtesy of www.sr-71.org)
Tale necessità era (ed è) comune a quella di tutti i motori turbogetto supersonici in quanto il flusso che alimenta il compressore deve essere subsonico (intorno a Mach 0.4), e pertanto si rende necessario rallentarlo mediante lo sfruttamento delle onde d’urto.
Un ottimo schema che riassume le condizioni di funzionamento e fornisce un’indicazione sulle temperature è disponibile alla pagina web www.wvi.com/~sr71webmaster/j-58~1.htm (e qui sotto riportato):
(Flusso d’aria nel motore e temperature)
(Pratt & Whitney J58)
UN COMBUSTIBILE SPECIALE PER UN MOTORE SPECIALE
Se finora il Pratt & Whitney J58 ha dimostrato di essere un motore speciale da un punto di vista funzionale, anche sul fronte del combustibile utilizzato esso presenta alcune caratteristiche particolari, infatti il combustibile in esso impiegato non è una normale benzina avio, bensì un combustibile speciale denominato JP-7 caratterizzato da una bassissima reattività in condizioni normali, fattore che ne rendeva l’impiego particolarmente sicuro ma che imponeva l’utilizzo di un sistema di ignizione, ed a tale scopo si preferì utilizzare un sistema chimico piuttosto che un sistema meccanico che avrebbe potuto creare dei problemi di affidabilità.
Il sistema di ignizione impiegava una sostanza fortemente reattiva con l’ossigeno, il TriEtilBorano (indicato con la sigla TEB), contenuta in quantità limitata (circa 600 cc) in un apposito serbatoio a bordo del velivolo ed utilizzata in tutte quelle fasi nelle quali risultasse necessaria una riaccensione del motore o parte di esso (ad esempio il post-bruciatore), e dalla quantità di TEB a bordo del Blackbird risultavano possibili almeno sedici riaccensioni, con conseguenti limiti sulla durata delle missioni in caso di problemi, in quanto non era possibile rimpiazzare questo componente durante i rifornimenti in volo ma solo a terra e con grandi precauzioni a causa della sua forte reattività.
La scelta di utilizzare il JP-7 era dovuta alle particolari condizioni operative nelle quali in Blackbird avrebbe operato, ed alla necessità di utilizzarlo per il raffreddamento di molte parti del velivolo e dei motori riducendo i rischi dovuti all’impiego di una sostanza più facilmente infiammabile e volatile quale un comune carburante avio.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il Pratt & Whitney J58, sebbene nato senza un’applicazione ben definita fin dall’inizio, si è ben presto evoluto nel motore del Lockheed SR71 “Blackbird” e con esso ha subito miglioramenti ed evoluzioni che lo hanno reso celebre e, per un certo periodo, gli hanno reso possibile di rappresentare il più evoluto dei motori aeronautici conseguendo dei primati ancora oggi imbattuti quale quello di velocità per un aereo pilotato dotato di motori non a razzo.
E’ inoltre impressionante vedere come in assenza di avanzati strumenti tecnologici oggi di uso comune, come la simulazione fluidodinamica ma anche la disponibilità di avanzate gallerie del vento, sia stato possibile realizzare un insieme aereo-motore così particolare, sebbene la gran parte dei velivoli sin qui presentati hanno avuto gli stessi strumenti tecnologici per il loro sviluppo e tali considerazioni vadano estese anche ad essi.
Con questo è tutto anche per il post odierno, e salutandovi vi invito a continuare a seguire la rubrica Energia e Futuro anche lunedì prossimo, naturalmente sempre su AppuntiDigitali.