Reti decentralizzate per sopravvivere ad attacchi nucleari, comunicazioni peer to peer come opposte alla concentrazione dei vecchi e cattivi media broadcast. L’ipertesto come opposto al testo, l’accesso casuale piuttosto che sequenziale, l’auto-giornalismo dei motori di ricerca, la liberazione dall’egemonia culturale dei mass media. Con queste ed altre argomentazioni noi che siamo in internet dagli anni ’90 ci siamo esaltati due decenni fa assistendo, più o meno consapevolmente, all’avvio della più radicale rivoluzione in ambito mediatico dal torchio di Gutenberg.
Cosa ha a che vedere la rete che oggi la NSA spia sistematicamente con quella dei primi giorni, degli utenti nazionali contati con una manciata di zeri, degli occhi strabuzzati davanti alla cronaca rosa di un paesino del Kentucky? In che modo la sua evoluzione ha agevolato l’operazione di spionaggio su più larga scala che mente umana ricordi?
Dal punto di vista fisico, la rete ha sempre avuto bisogno di “autostrade dell’informazione”. Decentralizzata dal punto di vista logico, la rete divenuta mondiale è sempre stata e sempre più sarà centralizzata da quello fisico con una percentuale crescente di dati in transito per pochi backbone intercontinentali. Nel mentre la potenza di calcolo e la capacità di immagazzinamento sono cresciuti più velocemente della portata dei “tubi”, rendendo possibile lo stoccaggio e l’analisi in tempo reale di enormi quantità di dati veicolati dai citati backbone.
Anche la decentralizzazione logica è un fatto del passato. La rete del ventunesimo secolo è quella di Google, un editore con l’80 e passa percento di share mondiale, e di Facebook, un social network in cui un quinto della popolazione mondiale (metà se escludiamo quei 2/3 di mondo che un computer a malapena sanno cosa sia) affida informazioni sensibili sulla propria vita sociale e privata.
È la rete degli smartphone, coi loro GPS e la loro capacità di profilarci anche in base a dati che fino a ieri mai ci saremmo sognati di condividere con altri che i nostri intimi. La rete dei pagamenti elettronici, del VoIP, della messaggistica istantanea su larga scala (altro che mIRC). È la rete che risponde in linguaggio naturale alle nostre domande, del cloud al posto dello storage locale, quella dei prossimi venturi dispositivi indossabili e magari della NSA che da domani vedrà coi nostri stessi occhi. La rete del tutto gratis e delle internet companies che vivono dei nostri dati personali.
A voler abbracciare le teorie del complotto, verrebbe da pensare che tutto ciò, a partire dalla “religione” del tutto gratis, sia un percorso la cui destinazione è l’abolizione del concetto stesso di privacy a fini economici e politici. Non mancano dichiarazioni inquietanti di CEO di prima grandezza del 2.0, la più sinteticamente angosciante rimanendo quella di Eric Schmidt: “se non hai nulla da nascondere non hai nulla da temere”.
Un ufficiale di PS, l’incarnazione del mio diritto alla sicurezza, non si permetterebbe di parlarmi così davanti ad un avvocato. Un media tycoon dall’altra parte del mondo può farlo, parlando non a me ma a miliardi di individui, senza che nessuna istituzione lo inviti a rientrare nei ranghi.
Del resto la rete del 2013, quella intercettata e sorvegliata in pianta stabile dalla NSA, è ormai perfettamente rappresentata dalla frase di Schmidt (o la speculare teoria di Zuckerberg sulla fine della privacy). Dove la centralizzazione dei dati (big data in slang marchettaro) non arriva, arriva la centralizzazione fisica, che mette l’intercettazione alla portata di qualunque entità possa permettersi un supercomputer.
Fino a poco tempo fa noi snob tecnologici dicevamo: se uno condivide la sua vita sui social non può poi lamentarsi. Oggi sappiamo per certo che, per proteggere la nostra amata privacy, il nostro diritto costituzionalmente garantito alla privacy, rimangono tecniche degne del prontuario di Al Quaeda: TOR, darknet, crittografia avanzata, oscuramento di ogni codice che identifichi univocamente il proprio dispositivo, una rigorosa politica di data retention, uso attento e circostanziato dei dispositivi mobile.
Siamo a questo. Gli USA, a quel che s’intende, si sono avvantaggiati della propria “posizione dominante” su Internet, dal punto di vista dei cavi e delle internet companies ivi nate, foraggiate e cresciute. L’Europa, pur attiva su tematiche cruciali come la net neutrality, ha sorvolato ampiamente sulle problematiche derivanti dalla conformazione USA-centrica di internet ed oggi balbetta attendendo funamboliche spiegazioni dell’amministrazione USA. Proprio da quell’Obama che si presentava qualche anno fa come l’eroe di Internet, Nobel alle buone intenzioni, mister Hope.
Come cambierà la rete internet dopo il datagate? È facile che questa crisi porti uno stravolgimento della natura stessa della rete, dagli schemi di routing ad un maggior rigore sul trattamento dei dati da parte delle internet companies americane. Ciò che doveva essere transnazionale per eccellenza tornerà probabilmente a rispondere a rigide politiche nazionali.
Un passo inevitabile e in certo senso auspicabile – datagate è il culmine di una situazione già da tempo critica – ma che scrive a lettere cubitali la parola fine alla prima fase di internet. La rete che doveva unire popoli e linguaggi, superare le contrapposizioni del mondo fisico, la rete dei grandi ideali e delle utopie di digerati sempre più a corto di argomenti, è la rete che oggi si svela come null’altro che l’ennesimo scenario di confronto politico ed economico, un cyber-territorio da spiare, manipolare e presidiare con logiche nazionali, come da manuale di realpolitik.
“Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza” diceva Benjamin Franklin qualche secolo prima di Obama. Quanto questo stoni con le attuali rivelazioni è ormai sotto gli occhi di tutti, che vivano in uno stato che prende – almeno formalmente – dure posizioni nei confronti delle ingerenze USA o piuttosto in uno stato-zerbino che si sgola a ribadire la fiducia nell’alleato-padrone per eccellenza.
Complottisti o meno, sarà difficile d’ora in avanti non sospettare chiunque ci canti le magnifiche sorti e progressive della rete e i suoi servizi e la sua gratuità congenita, di voler attrarci nei tubi e nei network del monitoraggio globale. E guardando indietro all’ingenuità con cui abbiamo aderito ai servizi gratuiti di multinazionali americane, sarà ancor più difficile non iniziare a chiedersi chi siano e cosa vogliano i clienti di quel prodotto da scaffale che, per un piatto di lenticchie, abbiamo acconsentito a diventare.