Qualche giorno fa ho letto con interesse l’analisi di Pier Luca Santoro, stimato autore del blog Il Giornalaio ed editorialista dell’European Journalism Observatory, circa il modello Business Insider, la testata digitale statunitense fondata da Henry Blodget.
Come potete leggere nell’analisi linkata e nella presentazione in cui Business Insider racconta il suo successo (da 2100 pageviews al giorno a un milione di utenti unici al giorno), la testata reputa cruciale per il suo successo un adattamento del suo modo di fare giornalismo alle peculiarità del mezzo Internet. Una considerazione che, se presa alla larga, è molto condivisibile o perlomeno ragionevole: cambia il mezzo, cambia la modalità di fruizione, la presentazione deve adeguarsi.
Il punto è che tutte le interessanti considerazioni e le statistiche sciorinate nella presentazione di BI nascono attorno a un presupposto preoccupante: Internet è un mezzo povero, si fanno soldi solo tenendo i costi vicini allo zero. Il che ci riporta al caro vecchio problema relativo alla capacità di Internet di remunerare giornalismo di qualità.
Un problema rispetto che lo stesso Business Insider rappresenta esemplarmente: titoli strillati, contenuti scarni realizzati al solo scopo di giustificare un titolo che abbia capacità di attirare click, un generale scarso approfondimento, il sistematico ricorso a photogallery con refresh del relativo banner ad ogni click, utile per incrementare la profondità delle visite, analisi e contenuti di maggior qualità spesso nascosti sotto una coltre di ciarpame acchiappaclick/accendiflame. Chiunque frequenti la testata con un minimo di regolarità si ritroverà in alcune delle fattispecie descritte o potrà aggiungerne altre.
Il che non significa bollare BI con un marchio d’infamia: la sua consultazione richiede però una notevole capacità di filtraggio, pena il ritrovarsi ingabbiati in una riduzione in bianco e nero della realtà che poco aiuta a formarsi un’idea e ancor meno a formulare un giudizio.
Dopo quattro lustri di Internet tutto questo non deve sorprendere: fin dagli anni ’90 il mezzo ha prevalso sul contenuto, senza che nessuno avesse previamente dimostrato che l’impianto tecnico e deontologico evolutosi nei precedenti 200 anni, fosse passato di moda.
Arriviamo dunque ad oggi, un giorno come un altro in cui ci tocca leggere della yellow press dei tempi moderni che diventa addirittura un case study, un esempio da seguire.
PS Non me ne voglia Pier Luca per questo disperato e intellettualmente disonesto – tanto più che io stesso lavoro nella pubblicità! – tentativo di comparare l’idealtipo del giornalismo con la prassi odierna: il problema non risiede nelle sue considerazioni, puntuali come sempre, ma nel fatto che, dietro la pressione di economie sempre più povere, il giornalismo ai tempi del web stia perdendo ogni punto di riferimento – oltre che rinunciando ad ogni responsabilità rispetto all’audience che (dis)informa e (dis)orienta.