Nella discussione a questo pezzo è intervenuto un dipendente I-Jet che ha chiarito alcuni punti che la fonte citata non esplicita con sufficiente chiarezza. Consiglio a chi volesse farsi un’idea, di leggere la discussione al pezzo dopo aver consultato la fonte.
Qualcuno avrà da obiettare che la vera Olivetti, quella che faceva scuola nello scenario elettronico mondiale negli anni ’60, era decotta già negli anni ’80 e clinicamente defunta dalla metà degli anni ’90 tuttavia uno stabilimento Olivetti resisteva in Val D’Aosta, ad Arnad, solo pochi chilometri dalle bellissime colonie estive di Brusson e Saint Jacques che tanti figli di dipendenti Olivetti hanno ospitato in strutture all’avanguardia.
Anche lo stabilimento Olivetti I-Jet di Verres, complice la competizione globale e i decenni di strategie industriali finalizzate all’autodistruzione dell’informatica italiana, sta per aggiungersi alle rovine dell’industria tecnologica nazionale, come potete leggere in un dettagliato approfondimento de Linkiesta.
La fine della I-Jet – che non fatico a ritenere un cadavere ambulante in uno scenario competitivo di colossi che operano a margini vicini allo zero – è un momento in più per pensare a quanto diversamente avrebbero dovuto andare le cose: se la politica Italiana valesse quanto quella americana, la Olivetti oggi peserebbe quanto l’IBM, almeno in Europa; un’altra occasione dunque per eseguire un impietosissimo ma necessario parallelo: fra la Olivetti di Adriano, di Mario Tchou e il team dell’ELEA, e la Olivetti dei loghi appiccicati su tablet cinesi da quattro soldi, l’unica Olivetti che rimane.