Ai lettori più giovani sarà capitato di visitare qualche autogrill e trovare, in vetrine ormai arrugginite, collezioni di cassette di plastica tipo Sexy Compilation 1986 o Il magico sax di Fausto Papetti. In mezzo ai souvenir più pacchiani ed improbabili, questi ormai rari reperti tecnologici, tendono a passare sempre più inosservati.
Eppure in quelle cassette – non solo in quelle per fortuna – batte ancora il cuore di una rivoluzione, che negli anni ’80 ha avuto proporzioni, mutatis mutandis, paragonabili a quella dell’iPod. Parliamo del mitico Walkman, uno dei gadget più celebri e diffusi del secolo scorso.
La rivoluzione è quella della musica da passeggio, un trend di mercato nato quasi per caso e in assenza – come il co-fondatore della Sony Akio Morita confessò a Playboy nel 1982 – di un’analisi di mercato che mostrasse la necessità di un simile prodotto. In effetti sembra che il primo prototipo del Walkman sia nato per consentire allo stesso Morita di ascoltare musica durante i viaggi in aereo.
A dimostrazione di quanto innovativo e per alcuni versi inatteso fosse il successo del Walkman, basta ricordare che Andreas Pavel, colui che per primo brevettò un sistema stereo portatile battezzato Stereobelt – a cui Sony fu costretta a pagare royalty e cedere il titolo di inventore del Walkman – lo propose ad aziende del calibro di ITT, Grundig, Philips e Yamaha, le quali rifiutarono obiettando che mai e poi mai la gente si sarebbe messa in testa delle cuffie in pubblico!
Contrariamente alle previsioni degli acuti analisti delle aziende menzionate, Walkman divenne un successo di scala planetaria. A un paio d’anni dal lancio del primo modello (TPS-L2, Giappone, 1979), il settore era già popolato da decine di aziende produttrici di centinaia di “cloni”.
Buona parte del successo di Walkman è da attribuirsi alla musicassetta, la quale offriva a poco prezzo una qualità di ascolto decente e la possibilità di essere registrata, consentendo non soltanto il passaggio della propria musica dal vinile all’autoradio o per l’appunto al Walkman, ma anche una forma “manuale” di P2P, basata sulla duplicazione e registrazione di opere, ahimè, protette. Una vera killer app per il supporto, che infatti sopravvisse per buona parte della parabola ascendente del CD.
Come accadde che Sony, dopo aver portato alle masse il concetto di musica da passeggio, lasciò che fosse Apple ad inventare l’iPod? Non era forse una naturale evoluzione del Walkman? Non prometteva forse di riuscire a trarre il massimo profitto dal vero P2P, quello che si faceva coi computer? La radice del problema, come ricorda Leander Kahney (curatore della sezione The cult of Mac di Wired nonché cantore delle gesta di Jobs nel libro Inside Steve’s head), è insita nella mentalità di Sony, la quale ha, come tutte le aziende impegnate nella distribuzione, guardato al fenomeno digitale come qualcosa da combattere in tutti i modi.
Ecco dunque che i primi lettori digitali di Sony non supportavano direttamente il diffusissimo formato mp3, ma richiedevano obbligatoriamente la ricodifica dei pezzi nel formato proprietario ATRAC. Prima che i player Sony supportassero pienamente e incondizionatamente il formato mp3, Apple aveva già venduto alcune decine di milioni di iPod.
La chiusura dell’epoca del Walkman a favore di quella dell’iPod rappresenta un magnifico esempio di come non sempre le grandi industrie siano in grado di imparare dai propri successi. Sony aveva la credibilità e la forza per conquistare una fetta del mercato della musica digitale analoga a quella che oggi detiene Apple. Il che, ironicamente, le avrebbe fruttato molto più di quanto non valga oggi la sua divisione dedicata alla distribuzione musicale.