È in genere opinione comune che il digitale sia necessariamente più economico dell’analogico: tutti vogliamo pagare meno un film in streaming, di quanto pagheremmo per un blue-ray. È facile pensare, inoltre, che il digitale sia anche più pulito dell’analogico: non c’è un supporto fisico che deve venir prodotto e poi gettato via. Ma queste idee sono proprio vere?
Un sito musicale inglese, MusicTank, ha recentemente prodotto un rapporto dettagliato sull’argomento, intitolato “The Dark Side of The Tune“, dove analizza i costi in termini energetici della musica in formato elettronico. In realtà l’effetto non è particolarmente visibile nel caso una persona scarichi un singolo file nel proprio computer, per poi asocltarlo e riascoltarlo, ma si fa notare maggiormente per quanto riguarda i servizi di streaming e accesso a un servizio di tipo “cloud”. La produzione di musica in formato digitale, in realtà, è un processo sensibilmente più pulito rispetto alla produzione di formati fisici, producendo fino all’86% di CO2 in meno. Nel momento in cui però si accede a questa musica attraverso la rete, è necessario disporre di servers, banda, cavi e antenne. Se consideriamo per esempio una canzone in un formato non compresso, fare lo streaming di 12 canzoni per 27 volte corrisponde alla stessa produzione di CO2 causata dalla produzione di un cd con 12 tracce. Se le canzoni sono in formato compresso, questo rapporto cambia, ed è necessario ascoltare le 12 tracce 180 volte per raggiungere la CO2 prodotta da un CD. Questa analisi, inoltre, non considera diversi aspetti. Per esempio un lettore CD consuma approssimativamente tanta energia quanto un computer: dipende quindi da dove e in che condizioni uno ascolta il proprio CD o mp3. Inoltre è difficile che vengano prodotti esattamente lo stesso numero di CD quanti sono richiesti dal pubblico: è invece molto più facile distribuire canzoni in digitale “on demand”, riducendo quindi gli sprechi. Allo stesso tempo, però, non dobbiamo dimenticare che i prodotti elettronici, come lettori musicali, smartphones e via discorrendo hanno una vita media molto più breve di quanto accadeva per i lettori cd del passato: ogni anno nel mondo vengono gettati via dai 20 ai 50 milioni di prodotti di elettronica, dei quali solo il 18% viene riciclato.
Insomma, il messaggio principale è che l’utilizzo continuo di banda ha un costo, non solo in termine economico, ma anche in termini di inquinamento. Pensare quindi che i prodotti digitali siano per forza gratis, o quasi, e sempre puliti, è una chimera. I costi sono diversi, e l’inquinamento viene da sorgenti diverse, ma non è nullo.
Quando uno guarda le cose da questo punto di vista, mettiamo anche in diversa luce la pirateria. Uno studio tedesco mette in luce che quasi il 70% del file sharing europeao è composto da files illegali. Allo stesso tempo la Svezia ha reso noto che l’introduzione della legge anti-pirateria nel 2010 ha ridotto il consumo di banda del 33%, generando un risparmio energetico equivalente al consumo annuale di 2030 abitazioni inglesi.
Insomma, il traffico dati, legale o illegale, causa spesa e inquinamento, ed è quindi importante pensarci due volte prima di occupare banda senza motivo (o senza averla pagata). Certo, questo non deve essere un’argomento per le major per applicare costi esorbitanti ai propri prodotti o rendere blindati i propri files ma, come spesso accade, ci sono sempre più aspetti da tenere in considerazione rispetto a quello che sembra a prima vista.