In questo blog abbiamo parlato più volte di antimateria, chiedendoci se è ancora presente nell’Universo, e come si può fare per rivelarla. Abbiamo anche visto come si può crearla in laboratorio, a fronte di molto tempo e fatica. Oggi parleremo di una recente scoperta fatta da un esperimento di grande preponderanza italiana, il satellite PAMELA, acronimo di “a Payload for Antimatter Exploration and Light-nuclei Astrophysics”.
PAMELA è un rivelatore abbastanza simile all’esperimento AMS-02, di cui abbiamo già parlando, ma leggermente più piccolo e con dei sottosistemi in meno. È stato lanciato nel Giugno 2006 dal sito di Bajkonour in Kazakhstan dal lanciatore Soyuz e da allora ha raccolto dati ininterrotamente.
Questo rivelatore ha ora scoperto una cintura, una zona compresa tra le fasce di Van Allen, dove si accumulano in quantità considerevolmente superiore che altrove particelle di antimateria, in particolare anti-protoni.
Sappiamo che le anti-particelle solo delle fotocopie delle normali particelle di materia, ma hanno carica elettrica (e parità) opposte, cosicché quando entrano in contatto con una particella “normale”, annichiliscono, generando energia sotto forma di raggi gamma. Per questa ragione è particolarmente difficile trovare in giro, o isolare, quantità di antimateria: nel giro di qualche frazione di secondo essa annichilirebbe a contatto con la materia, scomparendo.
Nel corso della sua orbita, relativamente bassa (tra i 350 e i 610 km di altitudine), PAMELA attraversa una parte molto particolare delle Fasce di Van Allen, la così detta “South Atlantic Anomaly“. Le fasce di Van Allen sono un volume a forma di ciambella presente attorno alla Terra in cui vengono accumulate un gran numero di particelle cariche (come protoni ed elettroni), provenienti dal vento solare e dai raggi cosmici, che vengono intrappolate dal campo magnetico terrestre. Le fasce di Van Allen sono in realtà una doppia ciambella, una dentro l’altra, a due diverse altitudini. La fascia più interna contiene particelle più energetiche, poiché il campo magnetico ad altitudini più basse è più intenso. La zona in cui la fascia di Van Allen più interna è più vicina alla superficie terrestre è detta “South Atlantic Anomaly”(SAA), poiché si trova nella zona meridionale dell’oceano Atlantico. La SAA è un concentrato di particelle cariche, tanto è vero che la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), come altri satelliti in orbita bassa, ha bisogno di un sistema di schermatura aggiuntivo attraversando la SAA.
Un altro concetto di cui abbiamo già parlato, ma che ricordiamo per introdurre la scoperta, sono i raggi cosmici, ovvero particelle cariche, per lo più protoni, che arrivano sulla Terra da sorgenti galattiche ed extragalattiche, e che, raggiungendo l’atmosfera terrestre, creano “cascate” di altre particelle scontrandosi coi nuclei dell’atmosfera. In particolare, se l’energia di questi raggi cosmici è sufficientemente elevata, possono creare coppie di neutroni e antineutroni. Mentre i protoni vengono intrappolati dal campo magnetico terrestre, i neutroni, essendo neutri, posso viaggiare liberi. Accade che degli antineutroni si allontanino dalle zone con maggior concentrazione di protoni e decadano in seguito in antiprotoni. Questo processo è analogo al decadimento di un neutrone in un protone, il così detto “decadimento beta“. In questo modo si vengono a creare degli anti-protoni abbastanza distanti dai normali protoni, tanto da poter sopravvivere diverse ore.
L’esperimento PAMELA ha raccolto dati per 850 giorni e, in questo periodo, ha selezionato antiprotoni presenti nella South Atlantic Anomaly, isolandone ben 28. Ventotto antiprotoni sembrano un niente, ma se si tiene conto della densità di antimateria media nella nostra Galassia, ecco che invece diventano una quantità enorme! Infatti 28 antiprotoni nella SAA corrispondono a mille volte la densità media di antimateria nella Galassia.
Il valore scientifico di questa scoperta, oltre a farci comprendere maggiormente la struttura della magnetosfera terrestre e i fenomeni fisici che vi hanno luogo, può aprirci le porte a futuri sbocchi scientifici e fantascientifici. Per creare così tanta antimateria in laboratorio, infatti, sarebbero necessari anni e anni. Non è inoltre irragionevole pensare che vi sia un deposito di antimateria anche in zone più alte dell’atmosfera, non raggiunte da PAMELA. Questo ci potrebbe mettere a disposizione una sorgente di antimateria pronta per essere studiata e compresa, se solo riuscissimo a trovare il modo di raccoglierla. Volendo passare alla fantascienza, o magari diciamo solo a una speranza futura, una trappola per antimateria di questo genere si rivelerebbe estremamente utile nel momento in cui motori a propulsione di antimateria diventassero fattibili…