Il nuovo radiotelescopio SKA (Squared Kilometre Array), è un progetto internazionale, che coinvolge 67 organizzazioni in 20 diverse nazioni, tra cui l’Australia, la Cina, l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Germania e il Sud Africa. Il progetto è veramente ambizioso: coprire migliaia di metri quadrati di superficie con
radio-antenne per osservare l’Universo nei suoi aspetti più nascosti. Per coprire una fetta consistente di cielo, il radiotelescopio dovrà estendersi in una considerevole superficie. Due possibili luoghi sono attualmente presi in considerazione: l’Australia e il Sud Africa. Se il telescopio venisse costruito in Australia, si estenderebbe fino alla Nuova Zelanda, se la scelta ricadesse sul Sud Africa, verranno poste antenne anche sulle isole dell’Oceano Indiano. L’idea è di creare una zona centrale molto più densa, in modo da avere un’elevata sensibilità, e disporre antenne via via più distanti per coprire più superficie possibile. L’impronta del rivelatore è rappresentata nell’immagine qui sotto:
Sebbene la radio astronomia si una scienza ormai solida, come si dimostra dal grande radiotelescopio VLA (Very Large Array) situato in New Mexico (e di cui forse qualcuno ricorderà l’apparizione nel film Contact), nessun radio telescopio attualmente esistente è paragonabile a questo progetto, e la tecnologia e il design per raggiungere un obiettivo così ambizioso vanno completamente ripensate rispetto ai telescopi passati.
La radio astronomia, o ancora meglio, la radio interferometria, è responsabile di grandi scoperte, come le stelle pulsars, quasars, microquasars, masers e molto altro. L’idea è di osservare l’emissione di questi oggetti nella frequenza radio (da qualche MHz fino a diversi GHz). Talvolta succede che certi oggetti (come le radiogalassie) siano particolarmente luminosi proprio in queste large lunghezze d’onda. Per aumentare la sensibilità di questi telescopi si usa la tecnica di radio interferometria, ovvero non si usa un’unica antenna, ma se ne usano tante, collegate assieme tramite cavi coassiali. In questo modo le onde radio osservate da ciascuna antenna vengono sommate, formando un “pattern di interferenza”. Il principio è che onde con la stessa lunghezza d’onda verranno sommata, amplificando il segnale, mentre onde con lunghezza d’onda diversa si cancelleranno a vicenda. Per aumentare quello che viene chiamato “S/N”, o “signal to noise ratio”, ovvero il rapporto tra il segnale che vogliamo misurare e il rumore di fondo, è necessario avere un numero molto elevato di antenne, che coprano una superficie molto vasta.
Ecco quindi la ragione per l’enorme progetto SKA. Come spesso accade per progetti in così grande scala, lo sviluppo temporale è molto lento e i passi burocratici complessi. Una delle prime decisioni da prendere è la scelta del luogo dove costruire il rivelatore. Per farlo bisogna tenere conto di molte cose, sia a livello scientifico che economico che politico. Innanzi tutto bisogna trovare una zona della Terra con un bassissimo rumore radio: quindi pochi cellulari, televisioni, stazioni radio ecc. Bisogna anche tener presente delle condizioni del luogo, come temperatura, precipitazioni, intemperie di vario genere, e le condizioni della ionosfera e della troposfera in quella zona. Ci sono però anche considerazioni più pratiche, come la possibilità di connettere il telescopio al resto del mondo tramite banda larga, il trasporto dell’energia elettrica per l’alimentazione del rivelatore, i costi di mantenimento, e la possibilità di mantenere occupata questa zona per lungo tempo. Come accennato, due zone sono state selezionate, l’Australia e il Sud Africa. La decisione finale dovrà essere presa nel 2012.
Il Sud Africa, e in un certo senso l’intero continente africano, è molto interessato ad ottenere la vittoria in questa piccola competizione. Infatti, oltre ad offrire una vasta area con bassissimo inquinamento radio, molto poco abitata e con la possibilità di venire utilizzata per lungo tempo. Assieme al Sud Africa, molte altre nazioni africane sono coinvolte in questo progetto: astrofisici dalla Namibia, Rwanda, e Mozambico stanno collaborando gomito a gomito per questo enorme progetto.
È una grandissima occasione per l’Africa. La “fuga dei cervelli” è in Africa quanto mai elevata, ed è difficile creare occasioni per grandi collaborazioni. Le possiblità ci sono. Il Sud Africa ha da poco inaugurato una propria agenzia spaziale, e la volontà di creare delle infrastrutture scientifiche è evidente, basti pensare al più piccolo radiotelescopio MeerKAT, un prototipo dello SKA.
La scienza offre un’opportunità unica per lo sviluppo di una nazione, o addirittura in questo caso di un continente, andando oltre a guerre, odii reciproci, problemi socio-economici. La scienza permette di lavorare assieme, sviluppando progetti innovativi, investendo nello sviluppo e nelle nuove menti. Moltissimi giovani da diversi paesi africani stanno collaborando al progetto, e questa opportunità darà loro modo di crescere. Sebbene oggi gli scienziati di origine africana siano moltissimi, non sono molti gli istituti africani a partecipare a grandi progetti scientifici, e spesso le menti di questo continente sono costretti a lavorare da altre nazioni.
Costruire un telescopio come SKA in Sud Africa non vuol solo dire che gli astrofisici africani avranno un progetto su cui lavorare. SKA è una collaborazione internazionale, che metterà in contatto scienziati di tutto il mondo, ci saranno italiani, francesi, australiani e quant’altro che avranno occasione di visitare e lavorare in Sud Africa, potranno parlare con le persone locali e comprenderne lo stile di vita. Un’infrastruttura come SKA è anche un grande aiuto economico per il paese. Poiché necessità di connessione a banda larga per il trasferimento dei dati, di una connessione alla rete elettrica continua, un accesso fisico alle aree interessate, verranno aggiunte e mantenute infrastrutture molto utili allo sviluppo delle aree locali.
Vedremo quindi quale sarà il verdetto della collaborazione il prossimo anno, e speriamo di avere modo di sentir parlare ancora più spesso di scienziati africani e dei loro risultati.