Una ricerca commissionata da Western Digital e avente come campione utenti di Francia, Inghilterra, Germania, Italia e Spagna, rivela che nei dischi fissi degli utenti sono conservati in media 5.35 anni di documenti, fotografie, filmati, email etc.
Nella stessa ricerca viene rimarcato che il backup è effettuato solo da una minoranza: circa il 60% continua ad affidarsi al proprio angelo custode per la protezione dei dati.
La relativa impopolarità del processo di backup – che non impedisce alla vita media dei dati conservati di superare la ragguardevole soglia di 5 anni – è solo uno degli aspetti relativi alla conservazione dei dati digitali.
In tempi in cui viene prodotta una mole sempre più colossale di dati digitali, la quasi totalità dei quali è conservata in formati proprietari, c’è da preoccuparsi seriamente non solo della loro conservazione, ma della loro accessibilità in prospettiva futura.
Fra formati che potrebbero estinguersi, danni causati da rotture di hard disk e “cottura” di supporti magnetici ed ottici, potremmo trovarci con facilità estrema a perdere una quantità di dati equivalente a quella che i nostri nonni o genitori avrebbero perso solo nel caso di un incendio o una catastrofe naturale.
Malgrado i continui moniti di coloro che vogliono venderci altri hard disk per fare più backup, il problema della conservazione delle nostre “vite digitalizzate” è lungi dall’essere risolto e anzi, potremmo ritrovarci fra qualche decennio a guardare ancora le foto cartacee di quando non ancora camminavamo, e rimpiangere amaramente l’inaccessibilità o la perdita fisica di quelle digitali scattate nei giorni dell’università.