Quasi un anno fa Google annunciava al mondo la creazione di un nuovo formato video, il WebM, basato sul codice del codec video VP8 (che al contempo rilasciava come open source) per costituire quello che, a suo avviso, sarebbe stato un altro punto cardine per un web più “libero”.
“Libero” perché sono stati rilasciati i sorgenti sostanzialmente senza vincoli (la licenza è di tipo BSD), e senza dover pagare alcuna royalty per i brevetti che pendono sulle tecnologie utilizzate, come si può leggere dalle pagine della licenza e, in particolare, in quella relativa alle proprietà intellettuali.
In realtà questa concessione “perpetua” verrebbe a cadere nei confronti di chi, avendo rilevato la violazione di propri brevetti, decidesse di intentare causa a chi avrebbe commesso il misfatto. Si tratta di una forma di protezione della multinazionale per proteggersi da eventuali attacchi, opponendo la perdita di un formato che è destinato a diventare importante in futuro e col quale ci si dovrà confrontare.
Libero, quindi, ma non del tutto, visto che Google non ha deciso di rinunciare completamente ai diritti che detiene grazie all’acquisizione di On2 e pretende col nuovo formato saldamente in mano sua che eventuali possessori di brevetti che lo riguardino evitino di rivendicare i propri, di diritti.
E’ in quest’ottica che va visto il recente annuncio della WebM Community Cross-License, con la quale BigG di fatto chiede aiuto ad altre aziende per proteggere questo formato (e se stessa) tramite la costituzione di un gruppo di aziende che, sottoscrivendo l’accordo, di fatto si legheranno mani e piedi a WebM.
L’adesione ha, infatti, una duplice valenza. Da una parte chi lo fa mette a disposizione gratuitamente degli altri i propri brevetti che potrebbero riguardare WebM (e solo questo). Il che significa che Google non è affatto sicura che l’acquisizione di On2 le abbia portato in dote tutto il portfolio di brevetti che coprono le tecnologie messe poi a disposizione con questo formato. Con tante aziende “amiche” questo rischio chiaramente diminuisce.
D’altra chi entra nel “consorzio” oltre a farsi promotore diventa, di fatto, anche difensore di WebM nel caso in cui un’altra azienda possa intentare causa per una qualche violazione delle proprietà intellettuali, perché parteciperà alla difesa sua e degli altri membri.
In sostanza Google sta cercando di scaricare anche agli altri partner eventuali responsabilità, anziché assumersele in toto. Quello di aderire per avere un formato open source di alta qualità sviluppato dalla comunità è soltanto uno slogan che nasconde il vero obiettivo della costituzione di questo “consorzio”.
Infatti lo sviluppo “comunitario” di WebM, come di qualsiasi altro progetto open source, non richiede affatto un accordo di cross-licensing fra le aziende che vogliono adottarlo. Inoltre, come viene specificato sempre nell’apposita sezione della FAQ, non è necessario aderire per utilizzarlo, in quanto i sorgenti sono già stati rilasciati sotto una licenza BSD (anche se ciò non è sufficiente; serve la liberatoria per i brevetti, e questa Google l’ha fornita, sebbene alle sue condizioni).
Se per un utente o una comunità open source ciò non sarebbe comunque un problema, per un privato o un’azienda che voglia adoperare questa tecnologia senza aderire lo diverrebbe nel momento in cui qualcuno gli facesse causa, essendo rimasto da solo a fronteggiarla (gli altri si sono “consorziati”). Per questo viene “invogliato” a partecipare alla CCL.
Dall’elenco dei membri mancano alcuni nomi di spicco: Apple, Intel e Microsoft. Non deve sorprendere per Apple e Microsoft, considerato che fanno parte del consorzio MPEG LA che tutela le proprietà intellettuali di MPEG et similia, e quindi H.264 in primis che è il concorrente diretto di WebM.
Con la mossa di Google si è parlato di “attacco” ad MPEG LA, ma personalmente non la vedo così. Le motivazioni, a mio avviso, sono altre, e le ho spiegate sopra. Non penso sia una attacco al consorzio “dominante”, perché Google conosce bene il portfolio di brevetti e tecnologie che stanno dietro ad H.264 & compagnia, avendoci lavorato (e continua a farlo) per parecchi anni.
D’altra parte MPEG LA ha dichiarato che Theora (per l’audio) e VP8 (per il video), alla base del nuovo formato, violano alcuni suoi brevetti, ma finora s’è ben guardata dallo specificare quali. Si è trattata di una mossa “intimidatoria” (un bluff), perché vede la minaccia di un pericoloso concorrente che può sottrargli parecchio business, ma per ora non ha prodotto altro che notizie e critiche in giro per il web. Un domani la situazione potrebbe cambiare, sia chiaro, ma al momento non v’è nulla di concreto.
Intel non fa parte del consorzio MPEG LA, e non ha nemmeno aderito a CCL. In passato ha dichiarato di supportare WebM se si diffondesse, ma non s’è ancora fatta avanti per partecipare al gruppo. Probabilmente è in possesso di qualche brevetto di cui vuol continuare a detenere strettamente i diritti, o semplicemente la sua è una politica attendista.
In definitiva, penso che il CCL serva più che altro per difendersi dai cosiddetti patent troll, di cui abbiamo diverse volte letto le “gesta”. Comunque Google avrebbe potuto anche pensarci bene prima di rilasciare WebM, analizzando i brevetti in suo possesso e il codice dei codec (esistono anche società specializzate allo scopo), e in ogni caso facendosi carico di tutti gli oneri, oltre che degli onori, anziché delegare anche agli altri le responsabilità delle sue azioni.
Si tratta di una mossa tardiva (come già detto, è passato poco meno di anno dalla presentazione di WebM) a una decisione che è stata presa troppo in fretta (circa 9 mesi dall’acquisizione di On2 alla pubblicazione del nuovo formato) e con scarsa considerazione dei possibili risvolti, a cui adesso si è cercato di mettere una “pezza”…