Da qualche tempo a questa parte vanno addensandosi nuvole nere sul reparto OS di Microsoft. Analisti, giornalisti, appassionati, spesso convengono sul fatto che Vista abbia mancato di portare innovazione reale e utile nel mondo Windows, secondo Gartner addirittura conducendolo sull’orlo del collasso.
Come conseguenza, è sempre più frequente il downgrade e gli OEM pressano sempre più insistentemente Microsoft per continuare a soddisfare la domanda di sistemi equipaggiati con Windows XP, che prevedono resisterà oltre il termine fissato dal gigante di Redmond (Giugno 2008) per il pensionamento di XP.
Fra i rilievi mossi a Vista dalla citata analisi di Gartner, emerge il fatto che l’intera base di codice dell’OS sia troppo vecchia per tollerare aggiornamenti significativi, e che questo freni l’ innovazione e quindi mini alla radice il ciclo di upgrading.
Tutto ciò visto e considerato, una domanda sorge spontanea – e già aleggia per tutta la rete: Windows 7 rinuncerà alla retrocompatibilità per accelerare sull’innovazione?
Un articolo apparso qualche tempo fa su ArsTechnica – scritto da uno sviluppatore che ha abbandonato Windows per passare a OS X – fa luce sulle lezioni che Microsoft potrebbe imparare da Apple, proprio in merito all’innovazione dei suoi OS. L’autore, constatate crescenti difficoltà nello sviluppo su piattaforma Microsoft, elogia la semplicità e la potenza dell’ambiente OS X, che a suo dire è stato capace di offrire all’utenza e agli sviluppatori strumenti realmente rivoluzionari rispetto alla precedente generazione di OS.
Anche se non si vogliono sposare le tesi esposte dall’articolo di ArsTechnica, è interessante passarne in rassegna le argomentazioni. In particolare l’autore fa riferimento al progetto Copland, un sistema operativo che alla fine degli anni ’90 si preparava a sostituire Mac OS 9 seguendo un approccio evolutivo.
La cancellazione del progetto Copland, l’acquisizione di NeXT e il successivo sviluppo di OS X rappresentano a parere dell’autore, la radice dell’attuale successo di OS X, il quale ha saputo rinunciare alla retrocompatibilità grazie al Classic Mode – una virtual machine capace di garantire una buona compatibilità con le applicazioni scritte per OS 9 – per seguire un approccio di innovazione senza compromessi.
Con la migrazione a Intel, OS X ha perso da un lato il sempre più obsoleto Classic Mode, per guadagnare dall’altro una più diretta compatibilità con le Windows e le relative applicazioni: un piano ben riuscito, come direbbe Hannibal Smith dell’A-Team.
Nel mondo Windows, il passaggio alle API Win32 ha invece replicato – secondo l’autore – gran parte degli errori contenuti nelle Win16, privandole di consistenza e rendendole incoerenti. Le Win64 a loro volta portano ancora il peso di decisioni prese 20 anni fa.
Pur non essendo in grado di giudicare queste valutazioni nel merito tecnico, posso dire che osservando l’approccio di Microsoft al mercato sembrano perfettamente sensate. Sensate perché ricalcano una logica che nei fatti ha guardato in prima istanza alla preservazione e all’aumento della quota di mercato – operazione in questo senso riuscita – ma che proprio per questo oggi sembra giunta ai suoi limiti strutturali
E se nel 2010 Windows 7 cambiasse tutte le carte in tavola, assicurando la retrocompatibilità solo attraverso l’integrazione di una macchina virtuale, non sarebbe quasi del tutto intercambiabile con OS X? Ma a quel punto non avrebbe qualche anno di evoluzione da recuperare rispetto al rivale Apple, partito già nel 2001 con un approccio di completa rivoluzione? O sarà forse in grado di rappresentare un salto in avanti anche rispetto alla allora corrente versione di OS X?
Sono domande a cui è difficile oggi dare una risposta, ma che sono convinto segneranno il futuro delle OS wars. Un futuro che, a differenza di un decennio fa, sembra tutt’altro che segnato.