Segnalo un interessante botta e risposta fra Michael Moore-Jones, un precoce adolescente australiano, e il famoso giornalista inglese Paul Carr.
La tesi di Moore-Jones (esposta integralmente qui) è che, ai tempi di Facebook, Twitter, Skype, l’informazione si stia “spersonalizzando” e, a causa della sua sovrabbondanza, stia pure diventando irrilevante. Nell’articolare la sua tesi Moore pone un parallelo con le forme di comunicazione tradizionale – le lettere per esempio – che a suo parere, anche a distanza di decenni, riescono spesso a fornire informazione dettagliata sui fatti e sul contesto. La chiusura del suo pezzo sintetizza efficacemente la sua posizione:
The abundance of technology is severely devaluing information. Do we go on ignoring this fact, and losing the details of our lives? Or do we do the hard work, and attempt to effectively store our communications? I know that I’ll be putting in the hard work – at least until the magicians in Silicon Valley come up with a better solution.
Dal canto suo Carr (il pezzo è disponibile qui), con qualche anno in più sulle spalle, non pone in discussione il merito tecnologico del problema:
And yet… The fact that the problem is largely attitudinal, rather than generational or technological points to a solution that is equally age-agnostic.
Ovverosia non è detto che a un problema tecnologico debba esserci una soluzione tecnologica. Il problema è cambiare attitudine rispetto alla tecnologia, utilizzarla con rispetto delle proprie priorità esistenziali, anche quelle di “lasciare una traccia sulla terra” meno volatile di qualche miliardo di byte.
Chi ha ragione? La parola a voi: i miei commenti arriveranno su un nuovo contributo, fra pochi giorni, su queste pagine.