È questa la sconcertante tesi della PRM, l’equivalente della RIAA americana nel Regno Unito, che ha portato davanti al giudice una popolare catena di centri per la sostituzione rapida dei pneumatici, Kwik-Fit. La contestazione riguarda l’abitudine degli operai della catena di ascoltare la radio sul luogo di lavoro, in modo che anche l’avventore possa udirla mentre si trova nelle officine. Questa pratica, secondo PRM, equivarrebbe alla riproduzione o performance in pubblico e richiederebbe perciò il pagamento di una quota – la stessa che sono obbligati a pagare disco-pub e discoteche per riprodurre musica nei loro spazi. È utile sottolineare che la pratica contestata non riguarda impianti di amplificazione installati nelle officine, quanto piuttosto apparecchi di proprietà dei meccanici, i quali se ne servono presumibilmente non per attrarre clienti, quanto piuttosto per alleviare la noia di 8 ore al giorno passare a svitare bulloni, estrarre pneumatici, avvitare bulloni.
Dopo la prima audizione, il giudice competente ha acconsentito a procedere nell’iter giudiziario, che potrebbe terminare con l’accoglimento delle richieste della PRM, pari a 200.000 sterline di danno. Il tutto, malgrado le stazioni radiofoniche già paghino diritti per il broadcasting di materiale protetto da diritti d’autore. Il management di Kwik-Fit si è difeso sostenendo che ormai da 10 anni ha emanato una direttiva che impedisce l’uso di radio personali nel luogo di lavoro.
Nello scorso articolo sul tema, sostenevo di non sapere più se ridere o se piangere. Inizio a propendere per la seconda ipotesi: il solo pensare a dove arriveremo di questo passo fra una decina d’anni, mi fa drizzare i capelli in testa.
UK: ascoltare la radio al lavoro è pirateria
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