Pochi giorni fa abbiamo ripreso il nostro percorso iniziato subito dopo l’estate e che ha visto protagonista Tokyo.
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in….Shibuya.
Ok, Dante, per altro molto apprezzato in Giappone (vedasi anche l’omaggio dell’ultimo videogioco di casa della Visceral Games, Dante’s Inferno, pubblicato da EA), non la scrisse esattamente così.
Però, dopo quattro pezzi sull’argomento in cui ci siamo spesi a parlare dei preparativi e dell’impatto iniziale e del quartiere di Shinjuku, possiamo dire di essere più o meno a metà strada.
Shibuya è stata più volte delle nostre scorribande turistiche, anche perché, come scopriremo, ben si presta come luogo di incontro. Ma, cronologicamente parlando, inoltre, il riferimento va punta soprattutto alla fascia mediana della permanenza nel Sol Levante e quindi la citazione non è del tutto peregrina seppur vagamente
Come verranno distribuite le altre giornate lo vedremo insieme anche in base al vostro feedback.
E, senza timore d’essere smentito, stiamo entrando davvero nel vivo.
Doverosa premessa topografica.
Abbiamo già affermato che Tokyo sia non solo una delle città più popolose al mondo ma anche, forse, una delle più complesse dal punto di vista urbanistico.
Vi è una macroarea, chiamata la Grande Area di Tokyo, la quale comprende non solo la capitale nipponica ma anche alcune importanti città dal punto di vista industriale (ad esempio Yokohama e sì proprio quella degli pneumatici) ma anche altri centri, più piccoli ma comunque meritevoli di attenzione.
Tra questi una doverosa citazione va a alla splendida Kamakura, ormai oggetto di culto tra i turisti in particolar modo occidentali e sulla quale, manco a dirlo, torneremo più avanti.
Per comodità dunque, questo polo economico è stato accorpato come se fosse un’unica entità, tanto che alcuni riferimenti bibliografici calcolano spesso un solo unico PIL.
Ora però le cose si fanno più complicate.
Gestire un’area del genere, quand’anche si trattasse di una sola città, senza adeguata pianificazione e suddivisione delle responsabilità, sarebbe pressoché impossibile.
Ricordiamoci ciò che abbiamo visto in precedenza e di cui abbiamo già discusso.
L’ordine, la pulizia delle strade, l’efficienza dei mezzi di trasporto pubblici non si spiegano solo con un certo tipo di mentalità ma sono il risultato di un’attenta organizzazione a monte.
Dal 1943, con la fusione del governo della prefettura con quello della città, i 23 quartieri più centrali e più popolati (definiti Quartieri Speciali o tokubetsuku nijusanku) hanno acquisito uno status che li rende in parte autonomi rispetto all’autorità del Governo Metropolitano, con una propria figura istituzionale di riferimento (l’equivalente del nostro sindaco.
Non ci si divide solo per sistemare qualche poltrona in più ma per ripartire e far funzionare meglio alcuni servizi fondamentali come la raccolta dei rifiuti, ad esempio.
Il quartiere speciale decide, di concerto con le normative nazionali, come gestire la nettezza urbana, i colori cui vanno associati i diversi materiali da smaltire, i giorni e gli orari del passaggio dei mezzi di raccolta.
E, forse non l’ho sottolineato abbastanza, il sistema funziona.
Sarò stato fortunato, ma non ho mai visto cumuli di rifiuti per le strade, né mozziconi di sigaretta sparsi sui marciapiedi, né tantomeno scene di ordinaria follia con persone costrette a fare lo slalom tra i sacchi neri di “monnezza”.
Insomma Tokyo si configura come una sorta di grande federazione composta all’interno da “piccoli” (le virgolette sono d’obbligo) quartieri-città.
Shibuya è uno di questi. E se guardate attentamente la mappa vi renderete conto del perché, geograficamente parlando, abbia acquisito importanza e fama.
E’ centrale, limitrofo di Shinjuku, la cui metropolitana è la più trafficata al mondo, ma anche di Minato, che copre parte della Tokyo Bay. Minato, al tempo stesso, insieme a Chuo e Chiyoda compongono quello che forse è il centro per eccellenza di Tokyo.
Mi rendo conto di quante volte abbia scritto “centro”ma dovete considerare la grandezza delle aree di cui stiamo parlando. Se i 23 quartieri sono abbastanza centrali, Shibuya e Shinjuku sono al centro. Questi tre quartieri formano assieme un centro ancora più centro.
Insomma il centro del centro del centro :)
Per farvi capire meglio, vi basti sapere che Chuo racchiude al suo interno due distretti arcinoti non solo dai turisti ma ai giapponesi stessi: Ginza e Tsukiji.
Il primo è il non plus ultra della mondanità. Tutte le signore, mogli dei vari tycoon giapponesi, entrano ed escono dalle boutique sfrecciando con passo deciso tra i passanti. I negozi d’alta moda non mancano nel resto della città ma qui potete trovare veramente la crème de la crème. Il costo naturalmente è adeguato allo standard.
Tsukiji invece è diventato famoso per il caratteristico mercato del pesce. Scommetto che non ve lo sareste mai aspettato, eppure, “ci ritorneremo”.
Quest’ultimo ci ha visti protagonisti di una folle decisione anche perché la fida Lonely Planet riporta il 2012 (tanto il mondo finirà, “chissenefrega” dico io) come data dello spostamento della sede e quindi abbiamo optato per una decisione drastica.
Foto e descrizione dell’accaduto non tarderanno a venire, ma dovrete attendere ancora un po’.
Chiyoda invece è il quartiere delle istituzioni: l’omonimo castello (chiamato anche Edo Castle), il Palazzo Imperiale, la residenza del Primo Ministro e la Dieta (l’organo bicamerale giapponese, un alter ego del nostro Parlamento). Nella parte ovest si trova la parte residenziale, mentre aI Nord avete la stracitata Akihabara. Insomma per farla breve, siete piuttosto vicini al mare, al simbolo per eccellenza della Tokyo posh, potete visitare alcune delle mete turistiche più frequentate ed affascinanti ed in più Shibuya è il luogo di riferimento della Tokyo ggiOvane ma non solo.
Prima infatti, quasi distrattamente, è stato citato come punto di ritrovo per i giapponesi.
Ed anche qui occorre aprire un inciso. Normalmente un luogo abituale di ritrovo diventa tale perché col passare del tempo la gente lo identifica in questo modo e lo sceglie per incontrarsi e/o radunare persone che provengono da zone diverse di uno stessa località.
Maggiore è l’ampiezza della città e maggiore diventa il c’è bisogno di queste zone più o meno conosciute.
Ma in un sistema topografico come quello di Tokyo il tutto assume decisamente più importanza.
Lo sapete che non esistono i nomi delle vie vero? Ne avevamo già parlato?
Quando mio fratello me ne accennò la prima volta, superato lo shock iniziale, la domanda sorse spontanea: “e come fanno a muoversi?”
Domanda che anche voi vi sarete immagino posti, piccoli Sherlock giappofili.
Ebbene non esiste una vera e propria toponomastica; non c’è un equivalente di Via Verdi in Giappone. Il tutto funziona con un sistema di posizionamento.
L’indirizzo è composto da 3 numeri che indicano… Ok facciamo un esempio pratico.
Prima di partire ho scelto l’hotel City Lonestar come alloggio. Il quartiere è Shinjuku mentre la dicitura dell’albergo riporta “2-12-12”.
Il primo numeri si riferisce al distretto, il secondo all’isolato, mentre il terzo è il numero della porta.
Sfiga vuole, però, che così come è nato, non necessariamente si può affermare che una casa sia posta accanto all’altra secondo una logica progressiva.
Per ovviare a questo potenziale “imprevisto” esiste il GPS. Tutti i mezzi di trasporto ne sono dotati da anni, decenni, molto prima che da noi diventassero conosciuti.
A Tokyo sia per un fattore “distanze” sia per la complessità intrinseca urbanistico-topografica le persone generalmente si accordano per incontrarsi in uno dei luoghi conosciuti più o meno a tutta la popolazione.
La scultura del gufo ad Ikebukuro (altro quartiere frequentato dai giovani seppur con meno attrattive rispetto ad esempio a Shinjuku) è piuttosto significativa ma il ritrovo per eccellenza è senza dubbio la statua di Hachiko.
Salito alla ribalta internazionale nel 2009 con il remake cinematografico di una pellicola nipponica, è un nome che potrebbe, dovrebbe non risultarvi del tutto sconosciuto.
In ogni caso…la storia narra di tale Hidesamuroh Ueno, docente all’Università di Tokyo, che possedeva un cane di razza Akita il cui nome era Hachi (il suffisso –ko in realtà esprime un rapporto affettivo) ed il quale lo accompagnava ogni giorno alla stazione di Shibuya.
Sfortuna volle che il professore venne colpito da infarto. Il legame però era talmente forte da spingere il cane a presentarsi ogni sera alla stazione aspettando il suo ritorno, per dieci anni, fino alla morte di Hachiko.
La storia fece ben presto il giro del Paese e spinse lo scultore Toru Ando a celebrare tanta devozione e fedeltà con la realizzazione di una statua, posta esattamente nello stesso posto in cui Hachiko si fermava ad aspettare il suo padrone.
Attualmente, seppur non sia il manufatto originale (distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale) rappresenta senz’altro una delle mete più celebrate e caratteristiche dei turisti oltre a luogo di incontro prediletto dai giapponesi.
Proprio usciti dalla metro e superata la statua ci troviamo nell’altrettanto famosa e già citata Shibuya Crossing.
Immaginate un incrocio ai cui margini attendono molte persone lo scatto del verde. Ora immaginatene più di quello che potreste identificare con la parola “molte” e dovreste avvicinarvi alla reale portata del traffico in quella zona.
Ad ogni cambiamento di stato dei semafori si calcola attraversino dalle 2000 alle 3000 persone nei momenti di punta. Non male per uno spazio di pochi centinaia di metri.
D’altra parte Shibuya è uno dei quartieri a più alta densità di Tokyo con circa 14 mila persone per chilometro quadrato.
Praticamente di fronte all’incrocio di cui sopra potete trovare una delle tre gelaterie Grom presenti in città, l’ultima aperta in ordine temporale ma decisamente quella che lavora di più. Abbiamo provato a fare una stima in base alle persone che attraversano il passaggio e quante se ne potrebbero statisticamente fermare ed è saltato fuori un numero decisamente impressionante, superiore ai 5000 gelati venduti al giorno. I due torinesi immagino siano discretamente soddisfatti.
In generale, se siete giovani, appassionati di moda o semplicemente volete divertirvi Shibuya è decisamente un luogo da visitare. Negozi all’ultimo grido (come il famoso 109), caffetterie e pasticcerie per tutti i gusti (oltre all’immancabile Starbucks), sale giochi, karaoke bar, discoteche, una città nella città ma che non dorme mai.
Lo scotto da pagare è il caos più o meno a tutte le ore del giorno ed una presenza a volte prorompente degli stranieri, seconda forse solo al quartiere di Roppongi.
Un altro motivo per concentrare lo shopping in quest’area è la presenza superiore alla norma di personale che parla un ottimo inglese come il caso dell’Adidas Store, nostra tappa abituale se non altro per i simpatici e cordiali commessi conosciuti all’interno.
Per confermare il poco feeling nipponico con la matrice anglosassone erano più che benvenuti gli stranieri (americani, australiani in particolar modo) di madrelingua, spesso e volentieri assunti proprio come dipendenti all’interno dei negozi, con tanto di targa gigante appesa al collo che recitava “Yes i can speak English!”.
Shibuya però, come Tokyo in generale e probabilmente l’intero Giappone, non è solo tecnologia, grandi magazzini, lusso ma anche cultura, relax, tradizione.
Nel prossimo appuntamento scopriremo questo lato con le visite al Meiji Jingu Shrine, Yoyogi Koen ed Omotesando.