Ho finalmente avuto occasione di vedere il film più chiacchierato dei tempi di Internet: The Social Network (2010). Mi piace la storia, mi piace il ritmo, la regia, mi convincono gli attori e i dialoghi. Ma non è del film in sé che voglio parlare, e nemmeno del suo messaggio ai giovani nello scenario startup italiano, cosa che ha fatto egregiamente Tagliaerbe.
M’interessa invece metterlo a fianco a un suo analogo, un cult che ambientato nella west coast di trent’anni fa: Pirates of Silicon Valley (1999, d’ora in avanti PSV). Il film come immaginerete, racconta dell’epopea di due colossi tecnologici come Apple e Microsoft vista dall’interno, con Wozniak e Ballmer a fare da narratori di una storia avvincente e ricca di colpi di scena.
Per quanto non del tutto fedele ai fatti, PSV dipinge a tinte forti i personaggi da cui direttamente promana l’attuale configurazione dello scenario tecnologico: dal geniale e spietato Bill Gates fino alla controversa figura del primo Jobs – quello che il board di Apple mise all’angolo nel 1985 – passando per una gran parte di quei personaggi di cui si parla spesso nei venerdì nostalgici di Appunti Digitali: Paul Allen, Bill Atkinson, Captain Crunch e così via.
Benché non conosca accuratamente le vicende di Zuckerberg e la storia dei primi giorni di FB, mi pare evidente anche nel film che ne racconta la genesi e boom, una certa tendenza a romanzare, ad enfatizzare personaggi e valori.
In PSV come in TSN alla fine non emergono eroi, semmai il contrario: tanto nel primo quanto nel secondo, è difficile provare simpatia per i protagonisti. Fatta la tara al talvolta indigesto rampantismo di scuola USA, entrambi i titoli trasmettono però all’appassionato un senso di ammirazione per i creatori di cotante aziende.
In entrambi i titoli i protagonisti – Gates e Jobs da un lato, Zuckerberg dall’altro – rivelano personalità border line e una spietatezza commerciale da manuale. In entrambi il fine giustifica i mezzi, fino alle estreme conseguenze, anche se i protagonisti si dimostrano motivati dalla volontà di affermare la propria visione più che dalla rincorsa al profitto.
Ciò che di TSN fa storcere il naso – almeno, a un nostalgico come il sottoscritto – non è il metodo ma il merito. Se l’ispirazione che guida i vari Wozniak, Jobs, Gates è legata alle potenzialità del PC di creare un nuovo mercato a partire da bisogni ancora da immaginare, quella che guida lo Zuckerberg cinematografico consiste nel consapevole, determinato e piuttosto compiaciuto sfruttamento dei bassi istinti del vivere sociale – pettegolezzo, voyeurismo, ricerca di contatti con l’altro sesso.
Se in PSV non scandalizzano le questioni di metodo – la sconsiderata ambizione e fame di successo dei protagonisti – in TSN non devono scandalizzare neppure le questioni di merito – l’abolizione di fatto della privacy come ragione sociale.
Il che, a modesto avviso di chi scrive, segna una vistosa perdita d’innocenza rispetto a quel rampantismo da Silicon Valley anni ’80 cui almeno poteva essere riconosciuta qualche caratura romantica, rispetto a quella voglia di cambiare il mondo che portava ancora il vago retrogusto di Woodstock.