Ci sono giochi che affascinano per la trama, per la grafica oppure altre precise caratteristiche tecniche, ma ce ne sono tanti che inducono all’acquisto semplicemente perché la confezione risulta azzeccata.
Oggi parleremo di un titolo non particolarmente conosciuto e apprezzato dalla massa, nonostante in verità fosse tutt’altro che disprezzabile, appartenente all’ultima categoria.
Riportiamo le lancette dell’orologio indietro di una ventina d’anni circa.
La figura del ninja vive forse la sua età dell’oro commercialmente parlando. La passione per le arti marziali, sospinta e descritta anche da alcuni blockbuster dell’epoca (basta citare Karate Kid) aveva fatto breccia nel cuore di molti bambini ed adolescenti dell’epoca.
Era il periodo anche del primo boom oltreoceano dei manga ed anime giapponesi. Anche in questo caso se menzioniamo un solo nome quale Hokuto No Ken dovremmo aver esaurito il concetto.
Aggiungiamo inoltre il fascino tenebroso di un combattente mascherato e silenzioso che usa parimenti armi accessorie ed il proprio corpo per sopraffare l’avversario ed abbiamo effettivamente chiuso il cerchio.
Non va infine dimenticato il successo planetario delle Teenage Mutant Ninja Turtles. Le tartarughe avevano in effetti sdoganato l’immagine non sempre positiva dei ninja. Con il loro fare scanzonato ed irriverente erano riuscite ad appassionare anche i più piccoli meno colpiti dalle tecniche complesse delle arti marziali.
Nonostante la mano di Hollywood non sia sempre stata esemplare nel trasporre un personaggio nato dalla pena dei disegnatori di strisce e fumetti, in questo caso il bersaglio fu ampiamente centrato anche nell’ambito dei videogiochi.
Se vi ricordate abbiamo analizzato i primi due capitoli disponibili il NES (TMNT e l’Arcade Game) ed altre piattaforme e scoperto come anche i negozi specializzati ebbero riscontri molto positivi, spingendo publisher e software house ad investire negli anni a venire sul brand TMNT.
Concentriamoci dunque proprio sul NES.
Verso la fine del 1988, in Giappone, fu commercializzato forse il titolo più rappresentativo del genere, ovvero Ninja Gaiden alias Shadow Warrior per i palati europei e statunitensi.
Tutti gli appassionati di retrogaming credo e spero ricorderanno le gesta di Ryu Hayabusa (personaggio ripreso in tutte le salse sia nell’ambito video ludico che cinematografico) e preferisco non dilungarmi sull’argomento, perché sarà oggetto di un’altra puntata de “La Valigia del Videogamer”.
Quel che è certo è che questo gioco catalizzò l’attenzione sia dei media, addetti ai lavori vincendo svariati premi ed infine il mercato.
D’altra parte la Tecmo, responsabile del topseller Double Dragon, era sinonimo di garanzia.
Quindi, occorreva sviluppare un prodotto ben fatto dal punto di vista tecnico ma anche intrigante sotto il profilo del packaging.
La prima volta che vidi la confezione me ne innamorai. Copertina rosso fuoco con il disegno del ninja, accompagnato da un drago nello sfondo, mentre idealmente sta per sferrare il suo attacco ferale era una chicca anche per quei tempi.
Sarò nostalgico (d’altra parte la rubrica lo impone anche se non lo fossi), ma obiettivamente…quanto belle erano le confezioni con all’interno le cartucce della nostra console preferita?
Cartonati disegnati a mano (e chi ha mai visto un gioco NTSC-J per il Super Famicom sa di cosa parlo) sostituiti da anonimi plasticati contemporanei. Siamo sicuri di averci guadagnato?
Ok ok fine divagazione, torniamo a noi.
Sfortunatamente quel giorno non ero stato sufficientemente persuasivo nel convincere la mamma (avete notato come sia quasi sempre la mamma a comprare giocattoli, videogiochi ecc.?) e sfiga volle che la volta dopo quel titolo non era più disponibile. Con somma tristezza ripiegai su TMNT II, una felice seconda scelta.
Una decina d’anni più tardi l’emulazione mi diede la possibilità di rifarmi del mancato acquisto.
Wrath of The Black Manta offrì svariati punti d’interesse. Il primo, abbastanza raro a dire il vero, riguarda le notevoli differenze tra le varie regionalizzazioni.
A meno che non ci siano a monte forti motivazioni culturali, un videogioco viene semplicemente portato dal Paese originario in altri territori ove, si spera, possa avere un riscontro economico.
Magari si cambia il titolo, la confezione, il publisher ma dal punto di vista tecnico i contenuti restano più o meno uguali.
Ciò consente, come potete immaginare, un consistente risparmio di risorse finanziarie ed operative.
Taito, vero e proprio colosso del settore (acquisito nel 2005 da Square Enix), conosceva molto bene il mercato nordamericano ed europeo e decise che un banale make up non fosse sufficiente.
Il restyling doveva essere profondo a partire dal character design dell’intero gioco.
In collaborazione con A.I, devteam responsabile della creatura, rivisitò le scene conferendo un aspetto ai personaggi più verosimile di quanto fosse stato fatto in Ninja Cop Saizou, il titolo originale nipponico.
Lo stile mangaka dei disegni fu verso il genere Marvel come testimoniato in particolare da alcune scene introduttive ai boss di fine livello.
Addirittura un intero livello venne rimosso nella localizzazione PAL e NTSC-U, probabilmente in favore di un utilizzo più accurato della palette e degli sprite.
Qui potete apprezzare un’analisi con tanto di screenshot a confronto.
La storia, non delle più originali a dire il vero, è la seguente. Il vostro primo allievo Taro viene rapito, senza apparente motivo, da una gang di malviventi capitanata da un supercattivo che si fa chiamare El Toro.
Compito sarà quello di recuperare lo sfortunato adolescente e sgominare la banda. Easy no?
Black Manta, il personaggio principale, è un abile guerriero addestrato al ninjutsu (l’arte dei ninja), nonché dotato di alcuni poteri speciali.
Più si progredisce all’interno del gioco maggiori saranno i poteri a disposizione. Un livello superato una nuova abilità acquisita.
I colori utilizzati spaziano verso tutte le tonalità possibili ma vi è una chiara predominanza del croma scuro. Nonostante ciò il vostro ninja grazie alla sua tutina viola (ricorda un po’ la mise del Foot Clan) resta sempre ben distinguibile dal background ed altri elementi presenti sullo schermo.
Lo svolgimento è il classico scorrimento orizzontale molto in voga negli anni ‘80 e ’90 e alla fine di ogni stage (6 nella versione nipponica, 5 in quella USA ed europea) vi aspetta il classico scagnozzo più scaltro e dotato dei semplici peones.
La longevità è un fattore chiave e qui risulta ottimamente bilanciata in rapporto alla difficoltà che cresce progressivamente. Acquisite nuovi poteri sì (dall’arte dell’invisibilità a quella del fuoco fino ai missili, quest’ultima presente solo nella localizzazione giapponese…ninja e missili insieme?!) ma vi dovete scontrare con nemici più furbi dei precedenti, in particolare El Toro dovrebbe dare del filo da torcere anche ai giocatori scafati.
Se vi piace il genere e non avete mai giocato a Wrath of The Black Manta forse è venuto il momento di provarlo.
Stay tuned!