Al CeBit di Hannover è stato presentato uno studio molto interessante che analizza la relazione tra il consumo di energia del mondo reale e quello necessario al funzionamento delle infrastrutture di Information Technology.
Se avete un avatar in Second Life, sappiate che per “vivere” consuma la stessa quantità di elettricità di un cittadino brasiliano, che ha ben altri problemi che non svolazzare per il mondo a fare amicizie, vedere concerti virtuali o racimolare lindendollari.
Se è vero che l’attenzione al risparmio energetico si sta facendo sempre più pressante (almeno in Europa, in America sprecano energia senza ritegno), essa viene quasi sempre presentata come una cosa relegata all’ambito personale, al limite aziendale: la speranza è che la somma dei risparmi singoli produca una massa di risparmio significativa per la comunità.
Io posso essere bravo finché mi pare ad avere lampadine a basso consumo, spegnere gli apparecchi invece di tenerli in stand-by, comprare elettrodomestici a basso consumo, ma se fare una ricerca su Google consuma come tenere accesa una lampadina per un’ora intera, significa che siamo fuori strada.
Il nostro naso si ferma quando il cavo scompare dentro il muro, ma al di là di esso c’è una infrastruttura molto molto grande, ramificata e avida di energia; quando si rompe una dorsale sottomarina, noi gioiamo che il traffico reindirizzato riesca a passare ugualmente, ma questo significa che ci sono risorse in sovrannumero e ridondanti che ci permettono di farlo (oltre all’intelligenza dei router, ovvio, si parla di infrastruttura fisica).
Il caso di Google è esemplare: spesso parlando con le persone, il motore di ricerca viene percepito come un computer molto grande, unico. Quelli che dedicano qualche secondo in più alla riflessione pensano ce ne siano un po’ sparsi in giro per il mondo, solamente gli addetti ai lavori hanno idea di cosa sia un datacenter da diverse migliaia di metri quadrati, di quanti datacenter abbia nel mondo e di quanta elettricità serve per farli comunicare e restituirci in poche frazioni di secondo la risposta alla nostra query. Peraltro Google è famosa perché usa normali PC invece di costosi server, quindi l’esempio soffre sicuramente di sottostima del problema.
Un altro dato incredibile di questo studio è che per far funzionare Internet è necessaria l’energia di quattordici centrali elettriche, che alla fine immettono nell’aria la stessa quantità di ossido di carbonio dell’intera industria aeronautica, senza ovviamente poter conteggiare quanta ne immettono i processi di costruzione delle migliaia di cellulari, laptop, desktop, server e PDA che ogni giorno vengono prodotti.
Stare in casa davanti a un PC non ci fa riflettere sul problema perché non possiamo respirare la parte di ossido che stiamo realmente producendo; quando arriva la bolletta elettrica ci congratuliamo di aver speso poco, perché nessuno può addebitarci la quota di consumo dei datacenter (e non solo di Google, ovviamente), router e server web che usiamo giornalmente.
Tra il 2000 e il 2004 il consumo di elettrictà dei datacenter è raddoppiato; entro i prossimi 25 anni – secondo Gerhard Fettweis dell’università di Dresda – tenere “accesa” Internet potrebbe richiedere lo stesso quantitativo di elettricità che viene consumato oggi dall’intero genere umano.
Serve a questo punto una vera opera di sensibilizzazione al problema, che coinvolga però tutti: noi utenti finali nelle nostre case e uffici, i produttori di hardware per lo smaltimento dei rifiuti e degli scarti di produzione, i progettisti di hardware, server e datacenter affinché le macchine richiedano minore elettricità in futuro, tenendo bene a mente che se consuma meno si scalda meno, quindi richiede meno condizionamento, che di nuovo consuma elettricità.
IBM al CeBit ha puntato molto sul risparmio energetico, cavalca l’onda, e soluzioni a basso consumo si stanno affacciando sul mercato consumer (che ormai punta tutto sulla dicotomia tra i sistemi potentissimi che consumano pochissimo), perché il problema non è più procrastinabile: è moralmente scorretto che un pupazzetto virtuale sottragga risorse a una persona vera, anche se fossimo in grado di calcolare e pagare la nostra quota pro-capite di extra inquinamento. E Enel dovrebbe ripensare alla sua isola virtuale in cui pubblicizza la sua offerta di energia rinnovabile. Chissà quanta energia non rinnovabile costa…
Dobbiamo tutti essere più sensibili da questo punto di vista, la tecnologia non può costare così tanto a livello di impatto ambientale.