Il post che state per leggere rappresenta quello che nel giornalismo anglosassone chiamano “Rant”: “un discorso dal tono emotivo, solitamente consistente in lamentele o attacchi, talvolta di natura politica” (secondo la definizione di wikipedia). Non consigliato agli amanti del giornalismo politically correct.
Il mercato dell’auto è andato conoscendo negli ultimi anni una forte espansione: anche la nostra FIAT se n’è giovata largamente, facendo registrare record di immatricolazioni e ottimi risultati contabili. È di ieri la notizia secondo cui “la festa è finita”: la flessione degli ordini e delle immatricolazioni è ormai evidente, e neppure ecoincentivi e il “trucco” delle auto a KM zero, che i concessionari sono obbligati ad immatricolare per fare numero, riescono a risollevare le cifre.
Ma non eravamo in piena crisi economica? E non eravamo ormai ampiamente consapevoli del danno che il trasporto privato su gomma arreca all’ambiente e alla vivibilità delle città? Prima di chiederci il perché di questa recessione, non faremmo quindi bene a domandarci su quali basi sia avvenuto il boom?
Al giorno d’oggi è impossibile sfuggire al bombardamento pubblicitario che le case automobilistiche iniettano nei circuiti mediatici. Ed è anche sempre più difficile capire dagli spot televisivi il reale prezzo di un’autovettura. Tutto ciò che apprendiamo è l’importo minimo della rata mensile, poco importa poi che il piano rateale sia “bi-generazionale”. Il che mi fa particolarmente specie: sono su questo pianeta da un numero di anni sufficiente per ricordare quando su riviste e televisione veniva dichiarato il prezzo finale dell’auto. E non c’era verso di riportare a casa la Volvo o la Mercedes se non avevi economie solide alle spalle.
Come in molti altri campi, anche in quello del consumo automobilistico, il miracolo non è stato dunque l’aumento di vendita in sé, ma il modo in cui una diversa attitudine al risparmio e un più facile accesso al credito – difficile anche scampare al bombardamento mediatico di chi vuole rifilarti un prestito – hanno incrementato le vendite.
Ecco quindi che alla vaporizzazione dei risparmi delle famiglie italiane, oltre alla citata crisi economica, contribuisce anche la pressante e sistematica incentivazione ad uno stile di consumo allegro. Che nel caso automobilistico, oltre a non essere sostenibile dal punto di vista economico, non lo è nemmeno da quello ambientale, producendo disastri i cui impatti vanno ben oltre quello dell’inquinamento atmosferico.
Il problema è dunque politico, economico, ma anche tecnologico. Cosa sarà nel lungo termine del mare di vetture che ciascuno di noi affronta quotidianamente? Chi si occuperà dell’ultima parte del ciclo di vita di queste migliaia di tonnellate di rifiuti tossici ambulanti?
Invece di insistere sul solo versante della restrizione alla circolazione, non sarebbe ora di responsabilizzare i produttori rispetto all’intero ciclo di vita del prodotto, obbligandoli anche alla gestione del riciclaggio/smaltimento? Ammesso che la bancarotta da insolvibilità non sopraggiunga in massa nel frattempo, quanti altri anni di consumismo a 4 ruote possiamo permetterci prima di arrivare ai cieli sempre grigi di Blade Runner?