L’argomentazione alla base delle cause intentate dalla RIAA contro utenti americani di piattaforme P2P, secondo cui è sufficiente rendere disponibile del materiale protetto per essere accusabili dell’infrazione del copyright, è stata contestata da un giudice federale de Connecticut.
Per procedere contro gli accusati – è questo il parere del giudice Janet Bond Arterton – è infatti necessario produrre prova fattuale del trasferimento del suddetto materiale verso terze parti, la qual cosa, oltre a non essere stata dimostrata dalla RIAA in sede processuale, appare tecnicamente difficile su larga scala. È a questo punto prevedibile un effetto domino su tutti i processi analoghi con cui la RIAA terrorizza da mesi madri di famiglia, ragazzini, anziani e via discorrendo.
Malgrado questo episodio, non tutte le speranze sono perdute per gli acrobatici paladini della creatività musicale.
La “soluzione finale” del caso è affidata ad un eventuale provvedimento legale che consenta il monitoraggio del traffico su larga scala, il che non appare del tutto improbabile se si considera la resistenza che le autorità USA da sempre oppongono a provvedimenti a garanzia della privacy – non ultimo il celebre caso avente come protagonista la tentacolare NSA, caso che il governo cerca di zittire con un’estemporanea immunità retroattiva.