Come preannunciato eccomi qui ad introdurre una nuova serie di articoli che andranno a trattare degli argomenti un po’ meno legati all’ aspetto tecnologico o di tecnica fotografica quanto piuttosto legati alla valutazione del risultato finale.
Analizzare la fotografia come “prodotto finito” comporterà il trovarsi di fronte a situazioni dove non sempre è possibile arrivare ad una sola verità oggettiva ma spesso l’ interpretazione sarà soggettiva, certo si potranno ritravare ricorrenti linee guida ma nulla di più , ad ogni modo questo contribuirà in modo importante a stimolare una evoluzione nel nostro modo di guardare le fotografie e di conseguenza ne trarremo beneficio in fase di scatto.
Per comprendere appieno quali possibilità creative ed espressive abbiamo oggi a disposizione è necessario fare una breve analisi di come sia cambiata la fotografia nel corso degli anni , cercherò di non dilungarmi particolarmente visto che l’ obbiettivo di questo articolo non è quello di fare una ricostruzione storica quanto piuttosto di prendere coscienza di come l’evoluzione dei mezzi fotografici abbia inequivocabilmente cambiato il modo di fotografare non soffermandosi solo sul discorso qualitativo o economico .
Nei primi del ‘900 la fotografia ha cominciato a diffondersi dapprima con apparecchi di generose dimensioni e con peso tutt’altro che contenuti, erano tempi in cui fondamentalmente era già un successo il riuscire a portare a casa lo scatto , i limiti dell’attrezzatura erano importanti e a farne le spese erano ovviamente l’ opportunità di poter immortalare una determinata scena con logica conseguenza di limitare la creatività del fotografo.Questa foto di Frank Hurley scattata durante una spedizione in Antartide nel 1912 ne è un buon esempio.
Il passaggio al piccolo formato , la pellicola a colori , il digitale (per citare solo i più importanti) hanno permesso al fotografo di espriemere sempre meglio la propria creatività alzando notevolmente il livello del prodotto finale andando ben oltre al “semplice” portarsi a casa lo scatto.
La più immediata conseguenza del poter produrre immagini qualitativamente migliori (dal lato creativo) ha anche influenzato il metro valutativo dell’ utenza finale che si è adeguata al crescente standard. Oggi internet ci sottopone ogni giorno alla “tortura” di confrontare i nostri scatti con quelli di tantissime persone stimolandoci (nel bene e nel male) a cercare di raggiungere risultati simili.
Ho scritto “nel bene e nel male” perché è estremamente facile cadere nel pericoloso circolo vizioso del dare colpa dei nostri risultati unicamente all’attrezzatura (anche se ci siamo passati tutti) ma non necessariamente è obbligatorio passare prima per il lato oscuro (e dispendioso) della fotografia digitale all’inseguimento del risultato che ci siamo prefissi di raggiungere.
Potremmo e dovremmo pero’ andare un po’ oltre al senso di frustrazione che internet dispensa facendo tesoro e sfruttando l’ importantissima possibilità di poter visionare tantissimo materiale valido , spesso corredato di interessanti e competenti commenti per poter crescere ed imparare a ritmi una volta impensabili.
Capiterà spesso di essere concordi con i commenti ed altrettanto spesso di trovarsi di fronte ad una fotografia che non ci dirà nulla mentre i commenti la osanneranno , capiterà anche di trovare riferimenti a grandi fotografi del passato e ciononostante potrebbe capitarci di non trovare negli scatti “nulla di speciale” e questo perché è opportuno cercare di capire anche “quando” ed in che “condizioni” è stata scattata.
Ho un bellissimo libro fotografico del National Geographic con una raccolta degli scatti migliori di tutto il novecento , la prima volta che l’ ho sfogliato qualche anno fa ero alla ricerca della nitidezza , esaminavo i dettagli , mi soffermavo a guardare che le foto non fossero micromosse o sovraesposte pensando che la fotografia “perfetta” dovesse necessariamente passare per una perfetta e rigida applicazione della tecnica fotografica , oggi invece riesco ad apprezzare e a capire perchè hanno deciso di pubblicare quelle foto (seppur non sempre perfette) e mi gusto anche la storia che accompagna quelle fotografie che avevo letteralmente “schifato” durante le prime letture.
Questa fotografia (Dominique Isserman per Tiffany 1999) apparsa in un articolo di CPN Magazine sull’ autrice è un bell’ esempio di come una foto all’ apparenza molto semplice possa obbligare l’ osservatore a notare continui elementi.
Luce morbida , grana gradevole , sfocato morbido e lineamenti gradevoli della modella sono solo una piccola parte nella costruzione dell’ immagine , il profumo usato come macchina fotografica ed il logo del profumo nitido ed in primo piano celano poi l’ occhio socchiuso e riflessivo della modella in trasparenza nel vetro , di primo acchito potrebbe sembrare una foto estremamente semplice.
Questa è una immagine costruita e pensata e la sua più grande forza forse risiede proprio in questo , quando abbiamo l’ occasione di rimanere sorpresi da un’ immagine possiamo quindi cercare di andare più a fondo , di capire come è stata realizzata e perché, spesso il successo di una fotografia passa per i dettagli, non parlo di quelli esprimibili in lw/pph quanto di quei particolari che non saltano subito all’occhio ma che solo in una istantanea possono essere scovati.
Questa curiosità è per me essenziale per la crescita “artistica” di un fotografo o aspirante tale , escludendo generi quali reportage e cronaca (dove la velocità operativa è assolutamente necessaria e non lascia ampi spazi alla creatività) è preferibile che prima dello scatto vi sia ben chiaro nella mente di chi guarda attraverso il mirino (o nel LCD) quale risultato si vuole andare ad ottenere.
Riuscire a fare la differenza tra il subire la fotografia scattando a casaccio (per poi vedere a casa sperando di trovarci qualcosa di buono) ed il cercare di ottenere un risultato fortemente desiderato (operando nel modo che si più si ritiene adeguato per quella scena) produce sicuramente risultati ben più apprezzabili a tutti i livelli.Esaminare quindi attentamente il lavoro altrui (che non è sinonimo di copiare , pratica poco nobile e poco consigliabile) ci permette in tempi relativamente rapidi di apprendere, ci aiuta a formare il nostro stile fotografico e ci insegna ad imparare ad utilizzare la macchina fotografica per quello per cui è stata inventata e quindi produrre fotografie.
Tecnologia e tecnica fotografica non sono più quindi i poli attorno a cui costruire una buona fotografia quanto invece semplici mezzi al nostro servizio per arrivare ad un risultato, non vorrei sembrare un po’ anacronistico ma rispetto ai miei inizi fotografici scatto molto meno fotografie pensando per molto più tempo a cosa , a come e a quando scattare (sopratutto per via della luce) per arrivare al risultato che avevo in mente ancora prima di prendere la macchina fotografica in mano.